Il taglio dei parlamentari, una «riforma per caso» che spiazzò persino i suoi fan
Da allora sono passati due anni e due governi, ma le modifiche sono rimaste come le opere pubbliche: incompiute. La riforma dei regolamenti parlamentari è stata varata solo a Palazzo Madama, con rischi elevatissimi nella prossima legislatura per l’iter dei provvedimenti e per la stessa vita del futuro governo. Non è stata ridotta la quota dei delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica, indispensabile per compensare il taglio di deputati e senatori. Non è stato modificato il conteggio su base regionale dei voti per l’elezione alla Camera Alta. E non è stata cambiata la legge elettorale, perché quando Letta sostituì Zingaretti al Nazareno accettò l’invito della «orbániana» Meloni ad Atreju e lì affossò il proporzionale per rilanciare il Mattarellum.
Così la riforma nata per «caso» affida ora al caso la tenuta del sistema, tra il silenzio di chi avrebbe potuto far sentire la propria voce e l’ammissione di colpa di alcuni dirigenti democratici, consapevoli che il «taglio» era stata solo una folgorazione sulla via di Palazzo Chigi: «Siamo un partito di atei praticanti…». Ai quali verrà più complicato intestarsi la battaglia per difendere la «Costituzione più bella del mondo» dagli attacchi della destra. «Perché finora è stata la sinistra a cambiare la Carta. E lo ha fatto sempre in peggio», ha detto il costituzionalista Celotto presentando il suo romanzo Fondata sul lavoro: «Prima modificò il Titolo V per inseguire i leghisti. Ora lo ha fatto con il taglio dei parlamentari per inseguire i grillini». «Lo avete fatto voi», ha detto Letta ai compagni di partito dopo lo scontro sulle liste. Vuol dire che il segretario del Pd è contrario alla riforma?
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