La storia d’Italia e le ombre del passato

Chi guarda con lo sguardo lungo e profondo della storia sa che l’Italia moderna è nata per una parte significativa così, da questo succedersi e sovrapporsi di culture antidemocratiche. Sa che essa ha preso le mosse dal fascismo grazie a non pochi istituti pubblici e alcune decisive esperienze industriali da esso varati, grazie ai primi interventi del suo Stato a favore delle masse, alle sue aperture al nuovo nel campo delle arti e delle idee. Così come sa quanto è stata importante nell’Italia repubblicana l’azione e la pressione del partito comunista e delle sue organizzazioni, in specie quelle sindacali – e forse ancor più l’azione spontanea di tanti suoi militanti- per arginare ingiustizie, garantire diritti, per aprire spazi di libertà e per lo svecchiamento del Paese. Ma non solo: anche per suscitare e organizzare, ad esempio, tante vocazioni imprenditoriali di piccola e media portata, talora di grande successo, nelle regioni dove più forte era la presenza dei «rossi».

Il fascismo e il comunismo sono stati entrambi qualcosa di profondamente italiano e nazionale, profondamente nostro e familiare (e forse proprio perciò destinati a suscitare quell’odio che solo nelle famiglie può durare in eterno). Sono stati entrambi l’espressione di un tratto di fondo della storia italiana novecentesca che è stato il populismo (un aspetto assai diverso del quale è stato pure il popolarismo cattolico). Un populismo che non c’entra nulla con quello di cui si parla oggi perché esso ha voluto dire la centralità assegnata all’elemento popolare e al suo riscatto storico debitamente trasfigurato nell’ideologia della Nazione in un caso e della Rivoluzione nell’altro.

L’Italia deve ancora compiere un’opera di autocomprensione di sé in relazione a questo suo passato così complesso che ha visto la contrapposizione feroce tra due estremi, in qualche modo provenienti tuttavia da una medesima radice e con più di un aspetto in comune. Oggi che tutto è finito, tenere in vita e alimentare tra di essi ( o meglio tra i loro presunti e pallidissimi epigoni) le ostilità di un tempo serve solo a rinviare l’inevitabile momento di una tale presa di coscienza. Serve soprattutto a distorcere e inquinare perennemente il confronto politico all’interno del nostro Paese, rinchiudendo tale confronto in uno schema sempre eguale, in un recinto senza vie d’uscita che condanna l’Italia a un virtuale immobilismo maledettamente simile alla paralisi. Farsi consapevoli del passato italiano non significa un banale embrassons nous, non significa l’oblio. I torti e le ragioni stanno ormai scritti nella storia, che registra tutto e aiuta a non dimenticare. Ma la storia non è una prigione, non può essere la prigione del nostro futuro.

CORRIERE.IT

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