L’inazione è il peggiore dei cataclismi

Mario Tozzi

Eravamo stati facili profeti nel preconizzare che la fine dell’estate sarebbe stata nel solco dell’estremizzazione del clima e che avrebbe messo in luce la cronica fragilità del territorio italiano, manomesso e violentato per decenni. L’Italia è uno dei paesi più esposti al cambiamento climatico, come dimostrano i dati Cnr-Isac appena resi pubblici: il luglio più rovente di sempre e la previsione dell’anno più caldo tracciano una scia di eventi meteorologici violenti che arriveranno nel cuore dell’autunno, ammesso che ci sia ancora tempo per la mezza stagione. D’altro canto la siccità che ha crepato la penisola, ampiamente prevista fino da primavera e colpevolmente trascurata, ha reso così secchi boschi e campagne da rendere facile l’opera dei criminali del fuoco, sia nell’innesco che nella propagazione. E, infine, si calcolano già in centinaia le vittime delle ondate di calore di temperature atmosferiche intollerabili soprattutto nelle aree urbane: come scritto nero su bianco dai ricercatori dell’Ipcc nel sesto rapporto, siamo ormai oltre i limiti biologici degli ecosistemi e essere sapiens non ci rende invulnerabili. Il minimo comune denominatore resta dunque il cambiamento climatico, secondo quanto ampiamente previsto dagli scienziati del clima, gli stessi che ci hanno ricordato che si tratta di responsabilità dei sapiens, e non di un eccesso di radiazione solare (smentito da caterve di dati), né di irregolarità nell’orbita terrestre o nelle correnti oceaniche, né di derive dei continenti, tutti fenomeni già ampiamente messi nel conto e che agiscono sulle migliaia di anni, non sui decenni.

Ma in Italia gli eventi naturali diventano catastrofi solo ed esclusivamente per colpa nostra, soprattutto per come abbiamo maltrattato il territorio, prima evitando accuratamente di pianificare e poi facendo carne di porco di dati e regole, quelle per cui non dovresti più costruire in riva al mare né entro alcune decine di metri dai letti dei fiumi (non dall’acqua) e per cui le costruzioni abusive vanno sempre abbattute, visto che i condoni non sanano il rischio. Per questa ragione non andrebbe incoraggiata la richiesta di calamità naturale: sono gli stessi amministratori che la chiedono i maggiori responsabili delle licenze edilizie, delle infrastrutture inutili, del mattone purchessia e della tolleranza a incendi, disboscamenti, prelievi in alveo fluviale e saccheggio dell’ambiente. Quegli stessi amministratori che, in tempo di pace, dovrebbero darsi da fare per risanare e rinaturalizzare, invece di combattere una guerra contro ambiente e paesaggio in nome di uno sviluppo legato al mattone come fossimo appena usciti dall’Ottocento. Non servono quasi mai le opere, servono la manutenzione e il ripristino di condizioni naturali. A meno che non si vogliano circondare coste e rilievi di un muro continuo di cemento che impedisca la vista.

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