Legge anti-ribellione: come evitare tradimenti e cambi di casacca

Matteo Mion

Ora che il divino Draghi non c’è più, la credibilità internazionale è un tema elettorale e la sinistra, cresciuta per decenni a pane e rubli, lo utilizza con la solita ipocrisia causa l’assenza di idee politiche. Eppure c’è un’unica garanzia richiesta non solo dalla comunità internazionale, ma da ogni singolo cittadino italiano: la governabilità. A imprese e connazionali non interessa nemmeno più chi vincerà le elezioni, ci accontentiamo tutti di avere un governo che governi: destrorso o sinistrorso è ormai un dettaglio. Cambi di casacca, salti di cadrega, i Di Maio, le ciliegine sulla torta del tradimento di Gelmini e Carfagna sono ormai pillole indigeste non solo agli occhi stranieri, ma anche a quelli nostrani.
La lezione di governabilità non può certo provenire dal Pd, che non riesce nemmeno a mettere in piedi una coalizione, figuriamoci un governo. Insomma, che si tratti di mercati, di Bruxelles o chicchessia una sola è la prece: un governo che duri! Il venir meno al mandato elettorale, il pugnalare alle spalle il proprio partito e il proprio leader hanno provocato distacco e nausea della politica. Che senso ha votare Tizio o Caio se poi, complice il parlamentarismo, non sappiamo chi andrà ad ingrassare il nostro voto nel quinquennio successivo? Allora c’è una banalissima norma che dovrebbe essere condivisa nel programma di tutte le forze politiche: una legge anti-ribaltone. Chi non approva più la politica del partito si dimette e con coerente serietà va a casa senza innescare a proprio tornaconto un mercimonio di seggi per formare maggioranze diverse da quelle volute dagli italiani.

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