Gramsci e gli illusionisti che nascondono la crisi del gas
Tra le prime, avverte il presidente di Arera Stefano Baseghini, il livello di morosità involontaria è destinato a salire da 700 mila a 1 milione di nuclei. Tra le seconde, dati di Confindustria, stanno precipitando nell’abisso della crisi interi settori merceologici. Non può reggere la ceramica, con un aumento della bolletta energetica dell’890 per cento. Non possono reggere il settore del vetro o quello degli esercizi pubblici, con rincari medi compresi tra il 690 e il 340 per cento.
Il problema ha ricadute al tempo stesso congiunturali e strutturali. Sul piano congiunturale il governo uscente ha già tamponato gli impatti del caro-gas con due decreti aiuti, costati allo Stato 33 miliardi di euro. A settembre scadranno sia il taglio delle accise sui carburanti, sia il credito d’imposta sugli acquisti di energia industriale. Che succederà, dopo? Sul piano strutturale, il ministro Cingolani continua ad assicurare che l’Italia è al sicuro per almeno tre ragioni. Abbiamo stoccaggi di metano al 70 per cento; già ora grazie agli accordi con i Paesi del Corno d’Africa, dalla Tunisia al Congo, abbiamo quasi dimezzato la nostra dipendenza dal gas russo dal 42 al 28 per cento; stiamo accelerando sulle fonti rinnovabili. Tutto vero. Ma è altrettanto vero che se consumiamo gli stock energetici ma li rimpiazziamo con forniture decrescenti, prima o poi il sistema farà tilt. E inoltre, come ribadisce lo stesso Torlizzi, le rinnovabili non sono in grado di sostituire velocemente le fonti fossili, mentre “serviranno almeno due o tre anni prima che gli accordi con i nuovi fornitori africani diano benefici”. Nel frattempo, come ce la caveremo?
Servirebbe un tetto europeo ai prezzi del gas, che Draghi ha chiesto per mesi senza ottenerlo, perché la Germania non lo accetterà mai. Servirebbe un almeno un piano di razionamento a livello comunitario. Servirebbe un blocco o un forte rallentamento della produzione per le aziende energivore non strategiche, con indennizzi pubblici. Servirebbe un programma obbligatorio di contenimento dei consumi a carico dei cittadini. Sarà questa la grande sfida che inizia il 26 settembre e e che durerà per i prossimi vent’anni. Sarà questa la grande partita da giocare nella Ue, per trattare con i partner un nuovo modello di produzione e di consumo di energia, che rispetti i bisogni dell’economia e quelli dell’ecologia. Lo ha ripetuto il presidente della Repubblica Mattarella, nel suo messaggio al Meeting di Cl a Rimini: l’impegno più importante della contemporaneità è la salvezza del pianeta.
La politica, di tutto questo, non parla. E si capisce il motivo. Riconoscere che gli Stati Ue non sono d’accordo sulle strategie da seguire per sottrarsi al ricatto di Putin implica un’idea forte di Europa da portare ed imporre a Bruxelles: Draghi ce l’aveva, su questo la sua Agenda era vera e seria. Gli altri partiti che idea hanno? Ammettere che l’Italia, Germania a parte, è più esposta di altri comporta un’assunzione di responsabilità nei confronti degli elettori, ai quali bisogna chiedere qualche sacrificio e un po’ di austerità: Draghi, anche se in modo non proprio felice, aveva chiesto “scegliete la pace o i condizionatori?”. Gli altri partiti cosa chiedono ai cittadini-utenti? Prima di andare a depositare la scheda nell’urna, vorremmo sapere tutto questo. Parlateci di inflazione, non di immigrazione. Parlateci di blocchi dei prezzi, non di blocchi navali. Parlateci di bollette del gas, non di carrette del mare. Parlateci di bisogni reali, non di feticci ideologici. Rileggete Gramsci, e quel suo monito antico che è già una profezia moderna: “Se sul palcoscenico si affollano gli illusionisti, in platea gli illusi diminuiscono”.
LA STAMPA
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