Ceramiche Noi, al lavoro prima dell’alba per risparmiare energia
di Federico Fubini
Sorge un sole feroce dietro i monti dell’alto Tevere, mentre da un capannone con la scritta «Noi» si spande già sui campi di tabacco un ronzio meccanico. È il suono di una macchina che divora gas e elettricità e restituisce 450 piatti di ceramica all’ora nelle mani sapienti di sette donne sedute in fondo a un nastro automatico. Sono lì da prima dell’alba, concentrate, vigili, nessuna traccia di sonno sui loro volti. Le sette operaie raccolgono i pezzi di ceramica ancora caldi e, con una rapidità e precisione che si impara solo in lunghi anni, sistemano le decalcomanie fino a farne uscire i piatti più belli del mondo. Li preparano per lo shopping del lusso a San Francisco, Dubai, Sidney, Kuwait City, dove si vendono con marchi di fama globale a prezzi di venti o trenta volte il costo di produzione. L’imballaggio si farà tra poco in un altro angolo del capannone, in orari modificati e centellinati perché il sole inondi in pieno le finestre il più a lungo possibile e si possa limitare così il tempo in cui i neon restano accesi.
I rincari
Da quando in Ucraina è iniziata la guerra e il prezzo del metano è decuplicato rispetto alle medie dell’ultimo decennio, anche la giornata di queste sette operaie non è più la stessa. Hanno smesso di preparare le colazioni dei figli piccoli, di controllare che escano di casa con i vestiti in ordine o anche solo di vederli al mattino. Sono tutte e sette alle macchine da prima dell’alba, in questo turno ritagliato apposta per sfruttare le tariffe elettriche più basse, risparmiare anche sull’aria condizionata e contribuire così a tenere a galla la cooperativa “Ceramiche Noi” — il nome in sé è una visione del mondo e del fare impresa — nella più grande tempesta dell’energia da mezzo secolo. A tremila chilometri da qui Vladimir Putin dosa il gas come un’arma per punire, vendicarsi, piegare il volere altrui. Ha tagliato le forniture più volte, fino a far valere la materia prima 200 euro ogni mille metri cubi, quando il prezzo che in Europa consideravamo normale era di venti. Era il prezzo sul quale si basava la struttura dei costi di milioni di imprese, per decine se non centinaia di milioni di posti di lavoro.
Rischio delocalizzazione
I conti per “Noi”, cooperativa nata da undici operai licenziati nel 2019 a causa di una delocalizzazione in Armenia, sono presto fatti. Con consumi di 2.200 metri cubi di gas e mille kilowattora al giorno, la bolletta energetica trabocca da meno di un quinto a quasi la metà dei costi d’impresa o da 182 mila euro nel già difficile 2021 a 327 mila solo nei primi sei mesi del 2022, aspettando il nuovo strappo all’insù che si annuncia per ottobre.
Hanno salvato l’impresa
E dire che nel 2019 questi undici ci avevano messo tutto quel che avevano, per salvare l’impresa e se stessi: hanno versato qui dentro il trattamento di fine rapporto, l’indennità di disoccupazione (la Naspi) e soprattutto tanto cuore, fegato e altrettanto cervello per rilevare l’azienda che l’azionista aveva abbandonato nel miraggio dei bassi costi dell’Armenia. La delocalizzazione, quanto a quella, è naufragata nel giro di pochi mesi perché una sedimentazione secolare di sapienza artigiana non si sposta da un continente all’altro come un pacco postale.
E a Città di Castello gli undici soci operai, gli ex dipendenti licenziati, lo hanno dimostrato: in tre anni il fatturato della vecchia impresa da loro rilevata impresa è più che quadruplicato a oltre due milioni di euro, conquistando quote di mercato in tutto il mondo, un rapporto di fiducia con alcuni grandi marchi americani e francesi e assumendo altre undici persone, che ora stanno per entrare anche loro nel capitale della cooperativa.
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