Pd, tormentone liste: Bonino corre nel Lazio con Zingaretti e Madia, Bobo Craxi a Palermo, Cottarelli in Emilia

Carlo Bertini

Caso della ex grillina Laura Castelli in Piemonte, ferita aperta. Caso Ceccanti in Toscana, risolto. Caso Pittella in Basilicata, un problema e tanti voti in meno al Pd. Caso Sarracino, chiuso. Come? Beh, scatenando la contraerea contro la destra. Quando stasera alle venti si chiuderanno i cancelli e si metterà la parola fine alla lunga e tormentata prima stagione “Il tormento delle liste”, Enrico Letta andrà a brindare con tutta la sua troupe. Per il regista Dem di questo infernale plot scritto e diretto nel giro di un mese, sarà la fine di uno strazio. Stasera infatti la coalizione Pd, Verdi, Sinistra italiana, Impegno civico di Tabacci e Di Maio, Socialisti, dovrà depositare le liste dei candidati comuni nei collegi uninominali. Eccoli. L’ex sindacalista Cisl Marco Bentivogli candidato in un collegio uninominale delle Marche per la coalizione di centrosinistra, Emma Bonino in un collegio del Lazio, dove il listino proporzionale vede candidati Nicola Zingaretti, Matteo Orfini, Marianna Madia, Michela Di Biase. In Sicilia, a Palermo, Bobo Craxi. In Toscana, Ilaria Cucchi e Stefano Ceccanti, candidati di coalizione. E in Lombardia Bruno Tabacci, Benedetto Della Vedova e Carlo Cottarelli. In Emilia Romagna, il leader dei Verdi Angelo Bonelli e Pierferdinando Casini. E in Campania Luigi Di Maio a Fuorigrotta e Vincenzo Spadafora a Casoria, nelle sfide uninominali. Queste le collocazioni delle liste anche per i candidati di coalizione diffuse ieri sera.

L’allungo di Orlando

Ma per il Pd, già tormentato da giorni, gli ultimi fuochi, tanto per restare su metafore cinematografiche, sono andati in scena ieri. E alla fine di questa partita, sul piano politico, cosa resta sul campo? Nei giochi interni del Pd, un rafforzamento della sinistra di Orlando e Provenzano, che, a detta dei suoi stessi avversari, ne esce meglio della corrente di Lorenzo Guerini e di quella di Dario Franceschini, aumentando le sue candidature, dopo esser stata falcidiata nel 2018, in era Renzi. Ma per il resto, poco o nulla, se non una selva di grane da gestire per Letta, che vede i suoi giovani capilista colpiti uno ad uno dal gioco dei social. Dopo Raffaele La Regina, che ha dovuto rinunciare alla candidatura, dopo Rachele Scarpa e le sue vecchie uscite censurate dalla comunità ebraica, è pure scoppiato il caso di Marco Sarracino, reo di aver festeggiato due anni fa con un tweet l’anniversario della rivoluzione di ottobre. Le rimostranze della destra scatenano però la razione di tutto il Partito. Matteo Orfini difende Sarracino «ora basta, loro hanno parlamentari che si vestono da nazisti e fanno gli indignati contro vecchi tweet dei ragazzini. Non perdiamo tempo con queste scemenze, è chiaro che quello di Sarracino è un gioco». Dalle parti di Letta, la difesa del giovane candidato è totale. «Ci rifiutiamo di penalizzarlo, proprio mentre ci arrivano post con i saluti romani dei candidati della destra…». E si punta l’indice su Claudio Durigon, potente esponente della Lega laziale, che un anno fa voleva intitolare il Parco di Latina, oggi dedicato a Falcone e Borsellino, ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce: « Durigon per questa storia si è dimesso un anno fa da sottosegretario all’Economia, ma eccolo ora rispuntare in un seggio blindato».

Castelli infiamma i dem

Diverso il caso Castelli, la viceministro all’Economia che, nonostante gli attacchi del passato ai Dem, stava per ricevere in dono un collegio uninominale di Novara a nome della neo coalizione di centrosinistra, di cui fa parte Impegno civico di Luigi Di Maio. Peccato che i Dem torinesi non la volessero al punto che lei ha finito per sfilarsi. Il Nazareno la liquida come un’ipotesi archiviata: «Da parte del Pd c’è sempre stato apprezzamento per il buon lavoro fatto da viceministro sia nel Conte 2, spesso in tandem con Antonio Misiani, sia nel governo Draghi. Le difficoltà originano da dinamiche locali pregresse». Detto ciò, Matteo Renzi intinge il pane nella polemica: «Noi candidavamo Padoan e loro la Castelli», postando un video in cui l’allora ministro dell’Economia la rimbeccava su alcune affermazioni. «Renzi è entrato a gamba tesa – reagiscono i Dem – fingendo di non sapere che la soluzione verso cui si andava fosse già chiarita. Quanto a Padoan, la sua vicenda parlamentare – eletto col Pd a Siena,dopo aver legiferato su Mps, e poi dimessosi per fare il presidente di Unicredit che proprio su Mps aveva mire di acquisizione – non è esattamente esemplare ed edificante».

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