Il filosofo rossobruno e quelle trame con la destra italiana

Jacopo Iacoboni

Nell’affaire Metropol, la trattativa in un hotel di Mosca per un presunto finanziamento russo di 65 milioni alla Lega – su cui è ancora in corso un’indagine a Milano per corruzione internazionale – assieme a un emissario della Lega, Gianluca Savoini, due dei russi identificati come parte della conversazione erano Andrey Kharchenko e Ilya Yakunin. Kharchenko è uno dei collaboratori stretti di Alexandr Dugin, il filosofo del rossobrunismo eurasiano che probabilmente era il vero bersaglio dell’autobomba esplosa nella notte di sabato a Mosca. Dugin è stato in realtà dietro tutta quella partita, e dietro molte altre, in Europa e in Italia.

Non è solo un intellettuale, quell’uomo che vediamo nei fermo immagine davanti alla macchina esplosa della figlia, con le mani nei capelli, e Kharchenko non è solo il suo migliore allievo laureato. Il filosofo è figlio di un dirigente del Kgb, e Karchenko – rivelò Bellingcat – viaggiava con un passaporto speciale che di solito viene rilasciato solo dagli Esteri russi, per lo più agli uomini dei servizi. Insomma, filosofo molto particolare, Dugin. Non perché sia particolarmente vicino a Putin – non lo è affatto – ma perché è stato coscientemente usato dal Cremlino per una serie di operazioni di propaganda e penetrazione nei partiti e nei media occidentali, proprio quell’Occidente che la sua “Quarta teoria politica” disprezza, cercando di congiungere separatismo etnico di estrema destra e anticapitalismo e anti Nato di estrema sinistra.

Fu così che Dugin è entrato in Italia. A metà tra agitatore culturale e servizi segreti. Savoini lo porta a Milano già nel 2015, plenipotenziario di Tsaargrad, il network dall’oligarca Malofeev. I libri come ottimo pretesto geopolitico. Quel giorno Dugin ha accanto Maurizio Murelli, militante neofascista già condannato negli Anni 70. Anni dopo, nell’estate 2018 della nascita del governo Lega-M5S, un tour duginiano lanciato da Savoini vedrà Dugin approdare sulla terrazza di Casa Pound, con il segretaro Simone Di Stefano, ancora Murelli e, moderatore, Giulietto Chiesa. Estrema destra e estrema sinistra.

Nel marzo scorso fu fatta trapelare dal Dossier Center di Mikhail Khodorkovsky una mail che riferiva di un altro incontro, che i russi stavano organizzando nel novembre 2017, tra Salvini e il team di Malofeev e Dugin: «Per novembre, durante la visita di lavoro di Matteo a Mosca, il mio capo ha organizzato con lui un incontro privato, affittando una stanza allo stesso piano dell’Hotel Lotte per evitare che la stampa occidentale si accorgesse dell’incontro», scriveva Mikhail Yakushev, numero due di Malofeev, oligarca plurisanzionato fin dall’annessione illegale della Crimea nel 2014, che finanziò ampiamente. In un’altra mail il team russo di Tsaargrad scrive che bisogna creare in Europa una rete di partiti, di estrema destra (Lega, Le Pen, Wilders) «ma anche euroscettici», chiamata “Altintern” (citazione del vecchio Comintern): «Senza il nostro impegno attivo e il sostegno tangibile ai partiti conservatori europei, la loro popolarità e influenza in Europa continueranno a diminuire».

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