Astensionismo: il partito dei nuovi scettici

Le motivazioni sono manifeste anche nella cronaca politica dei tempi più recenti. Una visione sinottica dello spettacolo offerto agli italiani dopo le elezioni del 2018 da partiti malati di leaderismo e propensi a una estremizzazione iperbolica delle posizioni è tale da rendere comprensibili forme non certo auspicabili di exit quali appunto l’astensionismo: la scomposizione delle coalizioni un minuto dopo la chiusura delle urne; la stesura di un «contratto» tra due populismi di segno opposto, un pezzo della destra sovranista più radicale e il movimento nato per scoperchiare la democrazia parlamentare (in guisa di una scatoletta di tonno); un anno di governo accidentato tra annunci palingenetici e azzardi economici, fino a una rottura della maggioranza decretata con lo sfondo a dir poco informale di uno stabilimento balneare; poi, un nuovo governo creato da forze ostili tra loro sino al giorno prima (col caso Bibbiano come vessillo), stavolta tutto virato a sinistra ma guidato dal medesimo presidente del Consiglio; infine, a un passo dal baratro, un esecutivo tecnico di semi-unità nazionale, voluto dal Quirinale, per fronteggiare la pandemia e portare a casa il Pnrr, e abbattuto anzitempo da angusti calcoli di bottega nonostante il suo indiscusso prestigio internazionale.

Ammettiamolo, ce ne sarebbe da sconcertare i più focosi sostenitori della contesa all’ultima scheda elettorale: se almeno non ci si mettessero adesso anche le promesse vacue e già sentite di doti e di bonus, di patrimoniali e dentiere, di pensioni facili e condoni imbellettati, e di tasse, si sa, sempre da abbuonare a tutti ma in un Paese nel quale, attenzione, metà degli italiani «vive a carico degli altri» ben lungi dall’essere oppressa dal fisco (Alberto Brambilla, Corriere Economia, 7 agosto). Ci vuole insomma tanta fede nella democrazia per attraversare ciò che resta dell’estate 2022 fino al voto. Aiutandosi con un monito che viene da oltreoceano. Fino a pochi anni fa ci raccontavano che negli Stati Uniti va alle urne sì e no un elettore su due, il consenso è spaccato a metà e il presidente è quindi appoggiato al massimo da un americano su quattro: e tuttavia, ci dicevano, quella è pur sempre la più forte democrazia del mondo, in barba all’astensionismo. Oggi, con i fantasmi dell’insurrezione contro Capitol Hill a volteggiare sull’America, il popolo diviso in due fazioni già pronte a darsi addosso non solo con le armi della dialettica e il rischio di nuove e più clamorose fratture da qui alle presidenziali del 2024, tutto l’Occidente liberale deve imparare la lezione: il voto è un bene prezioso che si tutela usandolo. Il 25 settembre possiamo essere noi i primi a dimostrarlo.

CORRIERE.IT

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.