Vecchia politica e nuovi rancori

Marcello Sorgi

Se doveva essere l’occasione per il sospirato, da tempo, “ritorno della politica” e per affrontare la crisi della stessa politica che ha portato al governo Draghi, considerato una sorta di sospensione della democrazia, si può dire già da adesso che è andata perduta ieri sera, con la presentazione delle liste e la travagliata composizione delle candidature. Dei programmi non varrebbe neppure la pena parlare, si sa che contengono soprattutto messaggi di propaganda. Chi volesse cercare risposte ai drammatici, per non dire tragici problemi che riguardano l’Italia, a partire dalle conseguenze della guerra in Ucraina in materia di energia (ieri il prezzo del gas ha toccato un nuovo record, allungando la sua ombra sui gelidi autunno e inverno che ci attendono), difficilmente potrebbe trovare argomenti plausibili.

Dalla rinegoziazione del Pnrr (un modo, Meloni lo sa benissimo, di rischiare di perdere la prossima rata dei miliardi di fondi assegnati dall’Europa), al “no” al nucleare e alle energie rinnovabili (Letta sa altrettanto bene che non sono rimedi commisurati all’urgenza dei problemi che ci riguardano), alla flat tax (Salvini è consapevole che al di là di un aumento della quota per le partite Iva, un’estensione generalizzata del taglio fiscale comprometterebbe servizi di prima necessità, a partire da quelli sanitari), alle pensioni minime da mille euro per tutti (Berlusconi è stato premier complessivamente per un decennio, dovrebbe bastare per sapere che sono irrealizzabili), al salario minimo per come lo declina Conte (dall’alto anche lui dei suoi due anni e mezzo trascorsi a Palazzo Chigi). Inoltre, anche quando le proposte sono simili, se non proprio le stesse, si fa di tutto per renderle diverse o inconciliabili, come se fossero marche di detersivi da pubblicizzare: questo, ovviamente, riguarda i partiti di centrosinistra, che hanno provato invano a mettersi insieme e alla fine sono rimasti sdegnosamente ciascuno per conto proprio, candidandosi fin d’ora a una prevedibile sconfitta (ultima, ieri, la rottura tra Pd e 5 stelle in Sicilia, dove avevano fatto le primarie e scelto insieme la candidata per la presidenza della Regione, Caterina Chinnici, figlia di un giudice ammazzato dalla mafia, che non avrebbe dovuto essere scomodata per una così mediocre commedia). Mentre quelli di centrodestra, che una coalizione, sia pure traballante, sono riusciti a metterla insieme, almeno uno straccio di programma comune, generico finché si vuole sulle questioni più spinose, ce l’hanno.

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