I “falchi” spaventano le Borse. E l’euro vale meno del dollaro
Al simposio di Jackson Hole, al via giovedì prossimo, non si parlerà d’altro che di inflazione e di recessione. Il timore che le banche calchino la mano soprattutto sui pericoli legati al carovita ha creato ieri sui mercati un vero e proprio cortocircuito. L’euro è scivolato ai minimi dal 2002 sul dollaro, scendendo fino a quota 0,9938 sul biglietto verde, mentre le Borse hanno preso un’imbarcata collettiva (-2,3% Francoforte, 1,8% Parigi, -1,6% Milano , giù dell’1,4% Wall Street) di cui hanno fatto le spese i Btp, con lo spread balzato a 231 contro il Bund e i rendimenti tornati ai massimi da un mese. A preoccupare anche la nuova fiammata del gas che ad Amsterdam ha toccato i 295 euro al Megawattora per poi concludere a 276; metano al top da 14 anni anche negli Usa.
È una bufera, non ancora catalogabile come tempesta, che nasce dall’abbaglio preso dagli investitori lo scorso 10 agosto, quando i dati dei prezzi al consumo Usa, scesi dall’8,7 di giugno all’8,5% di luglio, avevano alimentato l’errata convinzione di una Fed ormai vicina al pivot sui tassi. E che quindi, già a partire dal 2023, si sarebbe dedicata a tagliare il costo del denaro. Le più recenti dichiarazioni di alcuni esponenti del board di Eccles Building hanno smontato questa tesi. La banca di Washington non ha ancora completato la missione contro il carovita, ed è probabile che Jerome Powell, seppur spesso accusato di cerchiobottismo, non faccia nulla per contraddire i falchi. A cominciare dal capo della Fed di St. Louis, James Bullard, secondo il quale il processo per riportare l’inflazione al 2% durerà circa 18 mesi. Resta da capire se Powell fornirà indicazioni sull’entità della stretta di settembre, che potrebbe essere di 50 o di 75 punti. La risalita dei T-bond decennali al 3% rende più probabile l’ipotesi restrittiva.
Christine Lagarde non sarà invece presente fra le montagne del Wyoming, ma il cammino della Bce appare tracciato da Joachim Nagel. Il capo della Bundesbank è convinto della necessità di continuare con i giri di vite ai tassi, malgrado la Germania stia flirtando con la recessione. «La probabilità che il Pil diminuisca nel prossimo semestre invernale è aumentata in modo significativo, a causa degli sviluppi sfavorevoli nel mercato del gas», ha ammesso la Buba. Con l’inflazione che potrebbe sfondare in autunno il muro del 10%, la Germania è schiacciata dai rincari energetici: l’ultimo è quello che ha portato l’energia elettrica a superare per la prima volta i 700 euro al megawattora (14 volte di più della media stagionale degli ultimi 5 anni). I prezzi elevati e la carenza di metano hanno già costretto il Paese a ridurre i consumi, mentre hanno il fiato corto le esportazioni (-7,6% in luglio rispetto al mese prima quelle verso i Paesi al di fuori dell’Ue. Ancora peggio se la passa la Gran Bretagna, dove Citibank prevede che il carovita possa esplodere in inverno al 18%, un livello mai più toccato dal 1976 che costringerebbe la BoE ad alzare il costo del denaro al 6-7%.
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