Lo sguardo perplesso di Agata sul voto

di Beppe Severgnini

Ho passato l’estate con Agata. Una nipotina è l’antidoto perfetto per questa tristissima campagna elettorale. I suoi sorrisi sono più sinceri di quelli che i candidati sfoggiano sui social, il suo sguardo più profondo, i suoi giudizi più appropriati. Certo, non posso chiederle risposte elaborate. Cinque mesi di vita sono pochi per esprimere un parere sulla politica energetica italiana negli ultimi vent’anni – chi ci ha legati alla Russia in quel modo? – ma «Uhhhh!» sembra un commento adeguato.

Non posso pubblicare l’espressione sbalordita mentre osserva l’ipocrisia con cui alcuni personaggi negano di aver sabotato il governo Draghi, che ha organizzato la risposta alla pandemia, rilanciato l’economia (più della Germania), creato posti di lavoro (più della Francia), stoccato gas per l’inverno e affrontato con dignità europea la guerra in Ucraina. Non posso neppure riportare la perplessità di Agata di fronte alle discussioni sulla flat-tax. Perché, quando i politici non vogliono farsi capire, parlano inglese?, chiedono i suoi occhi grigi. Perché chi pretende un’aliquota uguale per tutti – un gran regalo ai ricchi! – non l’ha adottata, quand’era al governo?, aggiungo io.

Per addormentare Agata, le leggo il criterio della ripartizione dei seggi nella quota proporzionale. Per divertirla, le racconto la favola in cui i tre porcellini, camminando in fila, cantano slogan elettorali. Al posto del lupo, scelgo un segretario di partito che non nomino, perché ne andrebbe orgoglioso.

Un’altra cosa impossibile da spiegare ad Agata: perché votare è così complicato? In Italia – l’ha ricordato ieri il Corriere della Sera – ci sono 5 milioni di fuorisede, soprattutto studenti, ma anche lavoratori: vivono in un comune diverso da quello in cui hanno la residenza. Per recarsi al seggio, dovrebbero imbarcarsi in viaggi e trasferte, lunghe e costose.

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