Giorgetti: «Nuovi aiuti alle imprese, sono come i danni di guerra. Basta con la speculazione del mercato di Amsterdam»

di Federico Fubini

Il ministro dello Sviluppo: «Il governo Draghi ha i poteri per agire e lo farà. Bisogna rispondere senza aspettare i due mesi che serviranno per avere un nuovo governo»

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Ministro, Confindustria chiede che il governo di Mario Draghi affronti l’emergenza energia come se non fosse dimissionario. Lo farete?

«Assolutamente sì – risponde il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, della Lega –. Essere in carica per gli affari correnti non significa non avere poteri. Credo di essere stato il primo a sollevare il problema dell’energia più di un anno fa. Oggi bisogna rispondere senza aspettare i due mesi che serviranno per avere un nuovo governo. Sarebbe un disastro economico e sociale».

Se la Lega non avesse dato un contributo determinante a far cadere Draghi, l’Italia gestirebbe questa crisi in ben altra situazione.

«Mi pare che Matteo Salvini abbia visto giusto nel chiedere un armistizio in campagna elettorale. Tutti devono porsi il problema di come affrontare questo frangente. E anche con il sostegno della Lega questo governo – a saldi di bilancio invariati – ha varato moltissime misure, inclusa una di cui non si parla abbastanza: il bonus sociale rafforzato al quale possono accedere famiglie con un reddito Isee fino 12 mila euro e di 20 mila euro se ci sono quattro figli a carico, che si aggiunge a quelli già previsti per persone vulnerabili con più di 75 anni e per i disabili. La misura prevede sconti in bolletta. Abbiamo semplificato molto la procedura, ma occorre che le famiglie che non hanno già un’attestazione Isee la richiedano. Il resto è automatico. Va data la massima pubblicità a questa misura».

Resta aperto il problema delle famiglie con redditi appena più alti e soprattutto quello delle imprese…

«Purtroppo sì. Rischiamo di avere bollette insostenibili . Il problema nasce da prima della guerra, ma la guerra l’ha esasperato. Per moltissime imprese italiane sta venendo meno la convenienza a riaprire».

Serpeggia la tentazione di cedere sulle sanzioni alla Russia per riavere prezzi dell’energia accessibili?

«Va capito il contesto. Abbiamo dichiarato una guerra commerciale alla Russia con le sanzioni, usando meccanismi economici con un obiettivo politico sacrosanto: difendere la libertà. Intanto però, di fronte alla risposta russa alle nostre sanzioni, continuiamo a usare meccanismi strettamente di mercato. Non capiamo che quei meccanismi sono utili in tempo di pace, ma falliscono in tempo di guerra».

Cosa intende?

«Lenin diceva: i capitalisti ci venderanno la corda a cui li impiccheremo. Oggi il prezzo del gas è legato al Ttf di Amsterdam, un piccolo mercato speculativo che Vladimir Putin si diverte a far impazzire. Questo è un finto sistema di mercato, così come lo è l’ostinazione in Europa nel tenere il prezzo dell’elettricità agganciato a quello del gas benché tanta energia elettrica sia prodotta da altre fonti molto meno costose. Questi sono sistemi concepiti per funzionare in tempo di pace, non di guerra. Perciò l’Italia chiede un tetto europeo al prezzo del gas e di sganciare quest’ultimo dalle tariffe elettriche».

Che chance ci sono di riuscire?

«Sul tetto sono pessimista. L’atteggiamento contrario di Germania e Olanda, benché ingiustificabile, non cambia. Invece ci sono aperture da parte tedesca per liberare i prezzi dell’elettricità da rinnovabili, molto più bassi, da quelli del gas. Ne ho parlato di recente anche con Robert Habeck, il ministro dell’Economia di Berlino. Mi pare ci si possa lavorare».

Per l’Italia, Confindustria e lo stesso Salvini chiedono il modello francese: riservare alle imprese una quota di energia elettrica a prezzi sussidiati dallo Stato. Fattibile?

«È un modello. In Spagna il governo attua un tetto sulle tariffe elettriche compensando i produttori della differenza, mentre in Gran Bretagna si lavora su un intervento a supporto del sistema bancario. Ogni Paese ha possibilità diverse, ma anche da noi qualcosa andrà fatto. L’alternativa è semplice: tante aziende avranno più interesse a fare cassa integrazione che a riaprire a settembre. L’impatto generale sulla ricchezza del Paese rischia di essere molto maggiore del costo di qualunque misura di sostegno».

Alcune di queste in Italia possono pesare per decine di miliardi.

«È così. Ma durante la pandemia giustamente l’Europa ha sospeso le regole, permettendo ai Paesi di fare scostamenti di bilancio. Questa è un’emergenza economica e sociale ed è il focolaio da cui parte l’inflazione: se avessimo potuto sterilizzare gli aumenti per i consumatori da subito, non avremmo adesso questi aumenti dei prezzi».

Ma il debito pubblico è già alto e i costi colossali…

«Non si tratta di fare spesa allegra, ma di pagare danni di guerra indiretti al sistema produttivo, dopo la decisione di aprire un conflitto commerciale con la Russia. Se le acciaierie italiane si fermano, chi fornisce i materiali al sistema industriale del Paese?»

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