In balìa di leader incapaci di tutto

Alessandro de Angelis

Solo in Italia gli stessi che hanno tirato giù il governo poche settimane fa (e la crisi energetica era già drammatica) adesso si affannano a chiedere un intervento urgente – addirittura un “armistizio” dice Salvini – che, altro paradosso, il premier sarà costretto a varare come “emendamento” nel decreto aiuti non potendo fare un nuovo decreto a Camere sciolte. E solo in Italia mentre si agita il “pericolo per la democrazia” lo si riduce a burletta social nell’alternativa tra “pancetta e guanciale”. E, in fondo, ce ne eravamo già accorti sotto il tendone di Cl a Rimini perché Mussolini e Matteotti non si prendevano assieme il caffè come Meloni e Letta, alias “Sandra” e “Raimondo”.

Il fascismo non c’è, né ci sarà la sera del 25 settembre né nelle settimane a venire, chiunque vinca. Ma la democrazia italiana non sta tanto bene, in questa campagna elettorale che assomiglia a una grande ricreazione social: sotto le battute, il nulla. Il vero rischio è questo, segnalato dall’allarme astensionismo: si sta rendendo il voto inutile perché è palese che nessuno sappia cosa fare, in termini di soluzioni e non di esercizio di propaganda.

Vista da vicino, la cronaca del centrosinistra è quella di una coalizione già esplosa prima del voto, perché – né Cln né compiuta alleanza di governo – non ha mai creduto alla contendibilità del risultato, calibrando la strategia sull’obiettivo del “second best”, il migliore secondo, tanto per salvare le nomenklature nelle liste. La cronaca del centrodestra è quella di una coalizione destinata ad affrontare le sue enormi contraddizioni dopo il voto, dalle ombre russe mai diradate alla compatibilità di un programma economico da paese dei balocchi a chi sarà l’inquilino di palazzo Chigi.

Anche Giorgia Meloni, la cui forza è nella crisi altrui e in un’aura di novità nonostante imbarchi vecchi arnesi del berlusconismo, mostra tutte le fragilità da ansia di prestazione: più parla, più si dimostra “unfit to lead”. Perché le è estraneo il merito delle questioni e non solo secondo quale ratio costituzionale Mattarella dovrà affidare l’incarico. Ed è questo, guardato con brechtiano straniamento, il tratto che accomuna tutti: la grande divagazione rispetto all’agenda concreta del paese per cui è meglio battibeccare sulle devianze o se l’obesità sia una devianza rispetto alla guerra e alla questione di Taiwan, o al Covid, o alla Libia sull’orlo della guerra civile o a Lampedusa che esplode.

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