Il sabato fascista e i giovani deviati

Paolo Crepet

Assisto sbigottito alle ultime invenzioni di partiti in convulsione tra ricerca di consenso e turbamento per il futuro. Eppure ogni volta che lambiscono la “questione giovanile” emergono proposte sorprendenti che svelano un intreccio di insipienza e fastidio.

Si comincia con il pretesto energetico proponendo di chiudere le scuole un giorno alla settimana, accorciare l’ora di lezione, accrescere il ricorso alla Dad (che ha massacrato gli adolescenti: basterebbe leggere il recente saggio di Anya Kamenetz, “L’anno rubato”). C’è chi pensa di reintrodurre il servizio militare per “tonificare” una generazione invece di riflettere sull’utilità di un periodo “servizio civile” per ragazzi e ragazze che li aiuterebbe a capire la fecondità delle relazioni con persone in difficoltà, ad adoperarsi per curare l’ambiente, a comprendere non solo i diritti di una comunità ma anche i suoi doveri.

Né manca nell’arrembaggio politico il tantra della monetizzazione della gioventù. Tra “una tantum” al diciottesimo e salario di cittadinanza, emerge un’indicibile opera di “downgrade” generazionale. Asili intesi come parcheggi per genitori lavoratori e privi di nonni (meglio se a pagamento), non come necessaria pedagogia primaria -Montessori docet-, obbligo scolastico fermo a 16 anni, fine medie superiori un anno oltre i coetanei europei. Viene citata con preoccupante frequenza la necessità di cancellare i test universitari e di facilitarne i corsi rendendoli online. Rimane da capire chi saprà operare in un ospedale o chi fare i calcoli per costruire un ponte. Tuttavia il dato più inquietante riguarda un’idea desueta di educazione che si traduce grossolanamente in disciplina, ordine.

A qualcuno ha seriamente proposto che l’attività fisica non debba essere un gioco, un modo per crescere, ma lo strumento per uniformare comportamenti e modi di essere. Forse a molti non dispiacerebbe una riedizione del “sabato fascista”. Come se, sotto divise sportive, tra salti e giravolte, il disagio adolescenziale potesse magicamente scomparire e con esso ogni forma linguaggio divergente. C’è un modo speciale per detestare la giovinezza: non voler comprendere che è fatta di nei, di anomalie, di imprevedibilità. Così si arriva a pensare che lo sport debba essere una terapia di massa contro ogni forma di fragilità e di deviazione da una normalità approvata per legge, una camicia di forza per le anime più inquiete e inquietanti: ossessione per il controllo, tipologia di ogni dittatura.

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