Acciaio, ceramica, carta: ecco le imprese che decidono di non riaprire

La carta

A Pellezzano in provincia di Salerno ce n’è una che per ora non lo fa più e per questo l’economia circolare del Mezzogiorno subisce una sorta di infarto. La Cartesar produce carta da imballaggi per alimentari, farmaci e e-commerce da materiali riciclati che vengono della raccolta differenziata di rifiuti dall’Abruzzo alla Sicilia. La gestisce Fulvio De Iuliis, 32 anni, erede di una famiglia che fa carta in Campania dal ‘700. «A questi costi del gas non si va avanti — dice De Iuliis —. Ma lo stop delle cartiere da riciclo comporterà il blocco della raccolta differenziata, l’accumulo di carta e cartone nelle strade e un aumento dei costi degli imballaggi a causa della scarsità». Se c’è qualcosa che fa impazzire di rabbia De Iuliis, è il non poter competere alla pari in Europa. «Abbiamo tanti scarti di produzione, ma noi non possiamo ricavarne energia — dice —. Invece le cartiere in Germania, in Austria o in Spagna hanno accanto dei termovalorizzatori che producono calore e riducono del 40% i consumi di gas. Noi in Italia paghiamo decenni di errori». E sarà anche per questo ma — secondo Assocarta — oggi quattro quinti delle aziende nazionali del settore sono ferme o lavorano a ritmi ridotti.

Le piastrelle

A Castellarano (Reggio Emilia) Adriano Frascari, imprenditore navigatissimo, crede di sapere perché. I suoi impianti italiani di piastrelle da 160 milioni di fatturato l’anno sono fermi da fine luglio e a settembre non riapriranno; quelli polacchi da 250 milioni vanno a meno di un terzo della capacità. «Il gas costa molto ovunque — taglia corto —. A me sembra che noi europei le sanzioni non le abbiamo messe alla Russia, ma a noi stessi».

CORRIERE.IT

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