Rapoport, l’ombra di Putin dietro allo strano suicidio
Nulla o quasi di tutto questo sta in piedi, naturalmente. E la storia di Natalia Vovk in sé appare sempre più difficile da credere. Lauri Linnamäe, analista open source, ha spiegato punto per punto che il presunto documento della donna ha tutte le caratteristiche di un falso ritoccato con Photoshop: sfocature nei punti di contatto, sfasatura nei layer e nella sovrapposizione di piani tra il viso e lo sfondo della foto del volto, capelli piallati con figure geometriche, campionamento. Niente risulta credibile. Non solo il fatto che sia l’Fsb – una centrale di disinformation esso stesso – a fornirci questa versione dei fatti.
Christopher Steele, l’ex capo del desk Russia del MI6 dal cui report (in larga parte non smentito) partirono le inchieste sul Russiagate di Trump, fornisce questa fotografia della situazione in cui siamo: «L’uccisione di Dugina in Russia assomiglia sempre più agli attentati agli appartamenti di Mosca del 1999: un’operazione false flag da parte di una fazione dell’FSB, della quale accusare i nemici di Putin e progettata per suscitare fervore nazionalista a sostegno dell’escalation militare (in Cecenia allora, ora in Ucraina)».
LA STAMPA
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