Promesse e crisi: l’agenda (difficile) post voto
Se cercate una presa wi-fi e vi dicono che bisogna attendere, se dovete irrigare un campo agricolo e scarseggia l’acqua, se avete bisogno di energia elettrica per la vostra azienda e costa dieci volte più di un anno fa, se pensate di prendere un volo e il low cost sta finendo, se comprate i libri di scuola dei figli e scoprite quanto costano quest’anno, allora darete ragione a Macron: è finita l’era dell’abbondanza.
Chi è più vecchio se le ricorda, le «domeniche di austerità», a piedi e senza auto, dopo lo choc petrolifero provocato dalla guerra del Kippur, nel 1973. Oppure ricorda l’inflazione in doppia cifra, più di quarant’anni fa, che si mangiava stipendi e pensioni, mentre il terrorismo rosso sparava ogni giorno a qualcuno (non a caso tra il 1976 e il 1979 ci fu il primo «governo di unità nazionale»).
Ma i più giovani sono cresciuti con le banche centrali che stampavano moneta a go-go, con il costo del denaro così basso che quasi ti pagavano se prendevi un mutuo, con la globalizzazione e il commercio mondiale che abbattevano il costo delle materie prime, con i negozi dei cinesi dove trovi tutto a poco prezzo, con i voli low cost, con i bonus per la caldaia e lo psicologo, con sei scostamenti di bilancio in due anni, per complessivi 180 miliardi di deficit pubblico in più.
E ora, per uno strano gioco del destino, molto probabilmente sarà il centrodestra a dover gestire questa nuova fase, la «fine dell’abbondanza». Strano perché, da quando è nata in Italia nel 1994, quell’alleanza politica si è presentata sempre come l’epifania di un nuovo «miracolo economico», la forza che allenta le briglie al cavallo dell’economia e lo lascia correre, che garantisce un boom dell’occupazione e al suo popolo di imprenditori e partite Iva lancia il messaggio dell’ottimismo: «Arricchitevi». E questa è anche la ragione per cui il centrodestra mostra di avere un elettorato fedele e stabilmente più ampio di quello della sinistra.
Dovunque, del resto, la sinistra è considerata più adatta ai tempi di vacche magre, perché più attenta a suddividere equamente i sacrifici. In Italia, poi, quella riformista si è identificata negli anni con il rigore dei conti pubblici, il rispetto delle regole europee e, quando c’è stata, con l’austerità. Mentre la destra è sempre apparsa più adatta ai periodi espansivi; di abbondanza, per l’appunto.
Se dunque a vincere saranno davvero Meloni, Salvini e Berlusconi, come dicono i sondaggi, assisteremo a una vittoria per così dire «anti-ciclica»; nel senso che quella coalizione dovrà rileggere gran parte della sua cultura politica, e trovare vie innovative alla crescita che non siano la solita ricetta di meno tasse e meno vincoli.
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