La scelta di Draghi, che non vuole avere alcun ruolo nella campagna elettorale

di Monica Guerzoni

Draghi vuole concludere al meglio il lavoro realizzando gli obiettivi del Pnrr e non si farà fermare dai veti. Ma non vuole ruoli nella campagna: non fa da garante o apripista a nessuno, né vuole che il suo nome sia usato per ragioni elettorali

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È con estremo rispetto, civico interesse e comprensibile distacco che Mario Draghi segue la corsa dei partiti verso le urne. Le polemiche politiche non lo appassionano, né sembrano turbarlo troppo.

Purché non lo coinvolgano direttamente, con il rischio di intaccarne il ruolo o distorcerne il profilo istituzionale.

È il caso di un tema che sta prendendo corpo attorno al nome del premier e che anche a Cernobbio passava ieri di bocca in bocca, di taccuino in taccuino: «D raghi è in campo e resterà in campo anche dopo il voto». Comunque lo si declini, questo argomento è accolto con estrema freddezza e puntualmente respinto da Palazzo Chigi, dove si fa notare che il premier «non ha detto o fatto nulla» che possa giustificare un suo impegno, diretto o indiretto, in questa campagna elettorale.

Per Draghi il voto è la massima espressione democratica e lui «non fa da garante o da apripista a nessuno». Dove «nessuno» è prima di tutti Giorgia Meloni, il cui staff è molto attivo e abile nell’esaltare i contatti e i rapporti tra l’aspirante prima donna premier italiana e l’ex presidente della Bce.

C’è chi sussurra che Draghi sia pronto a darle una mano anche nella stesura della Finanziaria, magari con la segreta speranza di un tornaconto in Europa, o al Quirinale.

Ecco, se non fosse convinto che ogni sua parola sarebbe strumentalizzata o male interpretata, il presidente prenderebbe con forza distanza da queste illazioni e supposizioni, come anche dall’uso elettorale che i leader centristi Calenda e Renzi fanno del suo nome.

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