Meloni e Salvini, il derby utile (a loro)
Marciare divisi per colpire (forse) insieme. Pare questa la strategia che sta emergendo negli ultimi giorni nelle file del centrodestra, in particolare dalle parti della Lega e di Fratelli d’Italia. Sostenere ruoli in commedia diversi, per coprire più segmenti di elettorato. Un po’ è nella logica della coalizione (altrimenti si farebbe parte di un unico partito), un po’ è specie per Matteo Salvini una scelta obbligata. Con Giorgia che va a gonfie vele nei sondaggi e che la parte di vincitrice designata obbliga a indossare il vestito buono dell’europeismo, del filoatlantismo a oltranza, di inflessibile custode dei conti, è chiaro che il Capitano deve battere strade alternative, alla caccia di quei mondi che fanno parte (almeno potenziale) dell’elettorato di centrodestra e che adesso si sentono meno rappresentati dalla versione«draghiana» della leader di Fratelli d’Italia. Uno schetch che si è visto a Cernobbio, dove Salvini ha rilanciato la questione delle sanzioni, cui la Meloni ha ribattuto prontamente. Tra tutte le cose che il Capitano ha detto dall’inizio della guerra in Ucraina, la richiesta di interrogarsi sulla reale efficacia delle sanzioni a Putin è una delle più sensate. La stessa cosa viene sostenuta non a caso da menti in passato mai vicine al Cremlino o comunque non passibili di sospetti di intellighenzia con il nemico. Giorgia non ha però perso la battuta, e ha respinto la richiesta. Nella sua marcia di avvicinamento alle poltrone che contano e il rapporto riconquistato (forse) con l’amministrazione Biden dopo un periodo più trumpiano, ci manca adesso di avallare un qualche dubbio sulle sanzioni.
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