La (difficile) sfida dell’Occidente ai regimi
Il vero grave errore commesso nel rapporto con la Russia è stato di credere che, integrandola nel mercato globale, l’interdipendenza degli interessi l’avrebbe ammansita
Tutta colpa dell’Occidente. Sempre e comunque. Di qualunque cosa si stia parlando. La morte di Mikhail Gorbaciov ha fornito l’ occasione agli specialisti dell’autoflagellazione per spiegarci che l’Occidente lo abbandonò e fu quel perfido e cinico abbandono che causò il suo insuccesso politico, la sua incapacità di modernizzare l’allora Unione Sovietica, finendo poi per regalarci Vladimir Putin. Tutta colpa nostra. È un’idea che fa il paio con l’altra — la sostengono spesso le stesse persone — secondo cui l’invasione dell’Ucraina sarebbe la conseguenza della espansione della Nato a Est. Sempre colpa nostra. Putin è un cattivo certo ma, di fatto, lo abbiamo creato noi. I veri cattivi, responsabili di tutte le disgrazie, siamo noi. Si consideri poi il caso dell’Afghanistan. Un titolo molto usato da certe testate è questo: «I talebani opprimono di nuovo le donne», seguito dall’immancabile «nell’indifferenza dell’Occidente». Spesso titoli del genere si leggono su testate che erano state critiche dell’intervento americano e degli altri Paesi occidentali in Afghanistan. In sostanza, l’Occidente è colpevole sia quando interviene militarmente contro i talebani sia quando smette di farlo. Nel vituperato Occidente la libertà di parola è sacra e hanno diritto di circolazione anche le idee stupide. Ma è un diritto anche marchiarle come tali.
Torniamo a Gorbaciov. Egli cadde, dopo avere posto fine alla Guerra fredda, non per colpa dell’Occidente ma perché si trovò a fronteggiare tre problemi irrisolvibili. Due di carattere generale e uno specifico della Russia. Il primo problema era che gli imperi possono essere tenuti insieme solo con la coercizione e la paura che essa diffonde fra i sudditi. Se l’imperatore decide (come decise lodevolmente Gorbaciov) di non usare più la coercizione, cessa la paura e l’impero si dissolve. Il secondo problema irrisolvibile era che mentre è facile — basta dare l’ordine — statalizzare integralmente i mezzi di produzione, mettere in piedi un’economia statalizzata, l’economia di mercato non può essere creata nello stesso modo: le economie di mercato sorgono, lentamente, «dal basso», per gli sforzi di tanti che si dedicano alla creazione di imprese. Nessuno sa in che altro modo farle nascere. È per questo che con la fine dell’economia statalizzata in Russia nacque, non già l’economia di mercato ma l’economia di rapina degli oligarchi (come Sergio Romano ha ricordato sul Corriere del 4 settembre). Il terzo problema irrisolvibile che si trovò di fronte Gorbaciov aveva a che fare con la storia e la tradizione russa. La Russia, tranne un breve e assai fragile esperimento costituzionale dopo il 1906, ha conosciuto nella sua storia solo la tirannia, solo despoti (qualche volta illuminati, per lo più feroci). I costumi della Russia, le credenze diffuse nella società, sono marchiate a fuoco da secoli e secoli di tirannia. E di cesaro-papismo: il Patriarca di Mosca che benedice la guerra di Putin è solo l’ultimo di una lunghissima schiera di capi della Chiesa ortodossa russa prostrati ai piedi dello zar di turno.
Ponendo fine alla Guerra fredda, Gorbaciov e il suo gruppo hanno rappresentato una novità assoluta nella storia russa: per secoli e secoli prima di lui — ma con Putin le antiche abitudini sono state ripristinate — i governanti russi hanno legittimato il proprio potere dispotico all’interno, oltre che appellandosi al mito della Terza Roma, della Russia campione del cristianesimo ortodosso (sostituito dal comunismo dopo la rivoluzione d’Ottobre), anche e soprattutto chiamando il popolo russo a raccolta contro il nemico esterno, contro le potenze nemiche il cui scopo, immancabilmente, era ed è la distruzione della Russia. A Gorbaciov spetta il grande merito storico di avere interrotto quella tradizione. Ma si è visto poi come è finito.
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