Verso il voto: le macerie da evitare

di Massimo Franco

Pensare che la campagna elettorale possa essere uno sfoggio di armonia e buone maniere sarebbe ingenuo, se non ipocrita. Lo scontro è nelle cose. Di più: fa parte della fisiologia di qualunque autentico sistema democratico. Ma nella virulenza verbale che le forze politiche stanno ostentando in questa confusa corsa alle urne del 25 settembre si avverte una vibrazione regressiva. L’eccesso di aggressività non infetta solo
i rapporti tra i partiti. Sta depositando e facendo filtrare in profondità veleni nei rispettivi elettorati: un serbatoio di parole d’ordine tossiche, destinato a inquinare a lungo anche il dopo-elezioni.

Non si può pensare che gli allarmi per la democrazia, le minacce di guerra civile, il terrorismo sulle sanzioni alla Russia non abbiano effetti sul dialogo futuro. Lo renderanno più difficile. E agli occhi degli elettori avvolgeranno nel mantello sporco dell’opportunismo qualunque compromesso: anche il più inevitabile. Eppure, che emerga una maggioranza chiara o no, i rapporti dovranno tornare verso un simulacro di normalità.

Quanto stiamo vedendo rappresenta un serio ostacolo alla costruzione di una civiltà politica comune. Delegittimare gli avversari è un gioco tanto facile quanto arrischiato. E non solo perché impedisce qualunque serio accordo sulle regole.

Come si è già visto nella legislatura che sta finendo, a volte le ambizioni di vittoria debbono fare i conti con la realtà prosaica di risultati in chiaroscuro; sono costrette a piegarsi all’esigenza di compromessi anche con «nemici», promossi disinvoltamente in pochi giorni al ruolo di leali compagni di strada. E più vistosa sarà la demonizzazione altrui, più inevitabile sarà negli elettori la percezione dell’accordo truffaldino in caso di necessità.

Sotto questo punto di vista, il camaleontismo del Movimento cinque stelle è una bussola negativa da scrutare con attenzione. Il modo radicale e strumentale col quale si dipingono avversari e perfino alleati o ex tali, a tratti fa pensare che il populismo grillino in ritirata sul piano dei consensi, abbia iniettato in molti partiti il virus della delegittimazione degli altri. E li stia piegando a una narrativa che ci fa tornare indietro nel tempo, e arretrare politicamente. Forse addirittura indietro fino al 1994, con la contrapposizione tra «il comunismo» postumo evocato da Silvio Berlusconi, e il «pericolo per la democrazia» additato in caso di vittoria dell’allora capo del centrodestra.

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