Verso il voto: le macerie da evitare
Questa assenza di vero dialogo sta segnando seriamente anche l’attuale dialettica elettorale. Ma pochi vogliono vederne le conseguenze durature. Dopo il governo di unità nazionale e delle responsabilità condivise con Mario Draghi a Palazzo Chigi, sembra quasi che ognuno voglia strapparsi di dosso quella fase vissuta come una camicia di forza. C’è una irrefrenabile inclinazione a distruggere il tessuto delicato ma prezioso di rapporti costruiti faticosamente in un anno e mezzo; a marcare le diversità, a recriminare, a scavare solchi politici e personali sempre più profondi.
E senza preoccuparsi troppo che questa tattica finisca per travolgere anche il dialogo con le istituzioni europee e gli aiuti finanziari destinati all’Italia e garantiti dall’esecutivo di Draghi e dalla compattezza della sua maggioranza. Eppure, quanto è accaduto nei primi anni di legislatura è lì a dimostrare l’impossibilità di costruire qualcosa di sano e di duraturo sulle macerie altrui. Alla fine, almeno in parte quelle macerie diventano i propri detriti. Il cannibalismo politico verso altri partiti, dipinti con le tinte manichee dell’immoralità, della pericolosità, spesso può diventare cannibalismo interno.
Ad aggravare la situazione c’è la realtà di un sistema politico che si illude di essere in salute; che ha mancato l’occasione di riformarsi all’ombra del governo Draghi; e che ritiene di potere celebrare la propria rinascita solo perché si va al voto anticipato: come se le elezioni fossero l’unico modo per sentirsi vivi e vegeti, per rimuovere le macerie e i fantasmi dei «governi tecnici», dei «commissariamenti», dell’impotenza della politica. In realtà, quelle macerie sono ancora lì. Per rimuoverle, e non accumularne altre, sarebbe il caso di cambiare toni e di capire che quanto si dice adesso non potrà essere cancellato. E peserà su ogni tentativo di mostrare un Paese unito e per questo più forte: dentro e fuori dai confini dell’Italia.
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