Presidenzialismo, un salto nel buio

Montesquieu

Le elezioni oramai imminenti ci mostreranno le differenze tra presidenzialismi e sistemi parlamentari. Differenze di sostanza e di principio, senza ambiguità. Quale che sia il tipo di presidenzialismo, il voto degli elettori decide chi governa il paese, per la legislatura. Nei sistemi parlamentari, gli elettori individuano e scelgono (ahimé, ormai solo in teoria nel nostro sistema di partiti) i propri rappresentanti nelle due camere, per l’esercizio concreto di una sovranità costituzionale che oramai gli è già stata confiscata dai capi partito con una sciagurata serie di leggi elettorali. Deliberatamente, egoisticamente sciagurata. Ma i guai non risparmiano i sistemi presidenziali, anzi: i più sensibili, per la concentrazione e la personalizzazione del potere, a scivolare per inerzia addirittura verso forme di graduale tirannia, attraverso quella che viene chiamata,con dolciastra minimizzazione, democratura. Non esistono le mezze democrazie. Basta pensare alla raggelante parabola del presidenzialismo americano durante il quadriennio trumpiano, giunto ai limiti di un tentativo di colpo di stato, a tutt’oggi impunito e quindi ripetibile. Si confrontano, presidenzialisti e parlamentaristi di casa nostra, denunciando le debolezza altrui e incapaci di vedere la precaria salute del sistema prediletto. Il nostro governo si forma attraverso un procedimento che consegna a due diversi protagonisti gli esiti del voto degli elettori: il capo dello Stato, vero regista delle crisi, e, limitatamente al voto di fiducia, le due Camere. Ed è questo spazio decisivo sottratto alla voracità dei partiti a rendere non automatica la formazione dell’esecutivo sulla base dei risultati del voto; e assai più rassicurante (opinione personale maturata nel tempo) il nostro sistema parlamentare. Questo procedimento può risolversi in una rapida formalità, o quasi, nei casi di esito inequivoco del voto, con un vincitore certo e assoluto. Non sembra questo il nostro caso, quello di un paese in cui si sovrappongono e si intrecciano problemi economico-sociali di drammaticamente ostica soluzione, scosse profonde nelle relazioni internazionali (con una intensità specifica e crescente tra democrazie e autocrazie, a tutto scapito delle prime); persino anomalie inquietanti e ripetute rispetto alle nostre tradizionali collocazioni, mondiali ed europee; drastiche divergenze emerse in tutti i problemi non risolti, dalla pandemia all’aggressione russa all’Ucraina; coalizioni minate da corrosiva fragilità interiore; senza mettere in conto i sempre possibili imprevisti. Proiettiamoci quindi alla sera del 25 settembre o, dopo una notte comunque concitata , al mattino successivo.

L’ipotesi più concreta, sondaggi alla mano, vede una prevalenza numerica, con maggioranza probabile in almeno una delle camere, della coalizione di centro destra. Le difficoltà derivanti dall’ emersione postuma di disarmonie non marginali tra i partiti della coalizione, alimentate da una competitività interna evidente tra i leader , passeranno al vaglio severo ma sereno e oggettivo della figura di garanzia, il capo dello Stato, riconosciuta come tale dalla fiducia popolare; senza che a nasconderle provvedano bambinesche effusioni da rivista di gossip.

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