Cosa perde l’Italia se cambia il Pnrr
Veronica De Romanis
È possibile modificare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) come proposto dal centrodestra? Certamente, lo prevede il regolamento (articolo 21). La strada da percorrere, tuttavia, non è semplice. Devono sussistere delle “circostanze oggettive” che ne rendano la realizzazione “in tutto o in parte” impossibile. Successivamente, la Commissione valuta il Piano modificato e presenta “una proposta per una nuova decisione di esecuzione del Consiglio entro due mesi”.
Nel caso specifico dell’Italia, una revisione mirerebbe a ottenere ulteriori finanziamenti. Il motivo è spiegato nel programma congiunto di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia: i costi dell’energia sono lievitati, gli investimenti pattuiti sono difficilmente attuabili. Convincere i partner europei non sarà facile. Il nostro Paese ha già ottenuto 191 miliardi. La fetta più grande. Per fare un esempio, alla Spagna sono stati assegnati 70 miliardi, alla Francia 41 e alla Germania 28.
Il governo ha deciso di utilizzare la totalità delle risorse a disposizione. A cominciare dai prestiti, circa 121 miliardi: solo la Grecia e la Romania hanno seguito il nostro esempio. Si potevano – certamente – fare altre scelte. Più prudenti. La Polonia, il Portogallo, la Slovenia e Cipro hanno deciso di impiegare solo una parte della loro quota di prestiti europei. Altri Stati come la Francia, la Germania e la Spagna hanno, invece, preferito non indebitarsi affatto. Hanno, quindi, scelto di spendere solo i sussidi, ossia i finanziamenti che non devono essere restituiti.
È bene ricordare che i prestiti europei vanno a incrementare lo stock di indebitamento nazionale. In particolare, quello italiano cresce – in rapporto al Prodotto interno lordo – di circa sette punti percentuali. Data questa situazione, quale potrebbe essere la reazione degli altri leader a fronte di una richiesta di cambiamento del Piano? È difficile immaginare che possano essere disposti a erogare nuovi sussidi o nuovi prestiti: un debito in continua crescita rappresenta un fattore di vulnerabilità per noi e per l’intera Unione. La risposta più probabile che potremmo ricevere da Bruxelles è quella di una riduzione del numero dei progetti.
A questo stadio, scegliere quali investimenti eliminare non sarebbe facile, soprattutto dal punto di vista politico. L’alternativa sarebbe quella di utilizzare risorse proprie. Lo abbiamo già fatto predisponendo un fondo di trenta miliardi. Sempre a debito. Ricorrere a un nuovo scostamento, tuttavia, non è una strada percorribile. La stessa Meloni la esclude. I nuovi finanziamenti andrebbero, pertanto, trovati all’interno del bilancio dello Stato attraverso una ricomposizione della spesa. Ossia, una spending review.
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