Verso le elezioni: FdI punta al 30% “per fare le riforme”, ma per la grande crisi apre a sponde

FRANCESCO OLIVO

ROMA. Con il vento in poppa, Fratelli d’Italia chiede un voto utile: «Se superiamo il 30% ci saranno riforme e stabilità». I sondaggi da oggi sono vietati, ma nei partiti di tabelle e numeri ne girano parecchi. Fratelli d’Italia ufficialmente non dichiara un obiettivo (non lo fa quasi nessuno), ma l’asticella viene messa molto in alto. La percentuale a cui si mira, ormai non è un segreto, è il 30% e anche oltre. Stravincere le elezioni serve almeno per due motivi: mettersi al riparo da eventuali sorprese sull’incarico assegnato dal Quirinale e soprattutto garantire la stabilità del futuro esecutivo.

Allo stesso tempo però da FdI arrivano messaggi rassicuranti verso la futura opposizione: «Giorgia non arriverà alla guida del Paese per fare la donna sola al comando – dice ad Avvenire Guido Crosetto, fondatore del partito e oggi ascoltato consigliere –. Per il bene dell’Italia, Giorgia Meloni chiamerebbe Letta senza nessuna esitazione, così come Conte o Calenda». Una frase che ha alimentato speculazioni e sospetti: «Non sentite già aria di nuove larghe intese? – ha osservato il presidente del M5s Giuseppe Conte – Lo diciamo chiaramente: no ad accozzaglie e larghe intese. Lo abbiamo fatto una volta perché il Paese era in braghe di tela, per senso di responsabilità noi non ci saremo». Uno scenario che dalle parti di via della Scrofa viene ritenuto assurdo: «Un conto è dire che cercheremo di dialogare sui temi strategici, energia, riforme istituzionali, Pnrr e politica estera – dice un alto dirigente di FdI –, un altro è governare insieme, questo non succederà mai». Siamo, del resto, nel momento forse più teso tra Pd e Fratelli d’Italia, che si rinfacciano accuse gravissime, che coinvolgono indirettamente anche il ruolo del capo dello Stato.

La questione preoccupa non soltanto il centrosinistra, ma anche gli alleati, perché gli analisti stanno notando che il principio dei vasi comunicanti, mai come adesso, sta funzionando. Detto in altro modo: i voti a Fratelli d’Italia arriveranno da Lega e Forza Italia. Se FdI sale quindi qualcun altro scende. Il ragionamento che si fa in via della Scrofa è questo: se il divario con gli alleati fosse grande nessuno avrebbe la forza di mettere in discussione la leadership di Meloni. Il senatore Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma di FdI e fedelissimo della presidente, la mette così: «Se superassimo il 30 per cento sarebbe un segnale importante, vorrebbe dire che gli italiani vogliono davvero il cambiamento, a cominciare dal presidenzialismo». Se FdI riuscisse a ottenere più dei due terzi dei voti della coalizione, i rapporti di forza tornerebbero quelli di Silvio Berlusconi con Umberto Bossi. Tra i dirigenti di FdI ci sono due scuole di pensiero, la prima crede che un crollo degli altri partiti della coalizione possa rappresentare un problema. L’altra, oggi prevalente, vede la prospettiva della “cannibalizzazione” degli alleati come un’opportunità. Dentro Forza Italia si vive con un certo fastidio la campagna molto polarizzata che sta portando avanti Meloni («Giorgia sta un po’ sulle sue», ha detto Berlusconi in uno dei suoi imperdibili video su TikTok).

La fiducia reciproca è solo di facciata e quindi in FdI si fa questo ragionamento: «Se gli alleati saranno impegnati in problemi interni, non ne vorranno creare a noi». Il riferimento è più a Matteo Salvini che a Berlusconi. Il leader della Lega ha aspettative molto alte, che diventeranno pretese dal 26 settembre: diventare ministro dell’Interno o vicepremier. Due ruoli che potrebbero creare problemi seri a Meloni.

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