Politica e futuro, chi spinge (davvero) il paese

La crescita la fanno soprattutto loro. Si sono reinventate, hanno innovato, ci hanno provato, senza aspettare alcun sussidio. Ascoltare troppo le corporazioni non aiuta il ricambio generazionale, lo ostacola. Forse non è un caso che l’Italia abbia tassi d’imprenditorialità giovanile tra i più bassi in assoluto. Secondo una recente ricerca Unioncamere, in dieci anni abbiamo perso un quinto delle imprese guidate da giovani sotto i 35 anni, soprattutto nelle Marche, in Abruzzo e Toscana. Unica eccezione: il Trentino Alto Adige. Quelle nel settore manifatturiero sono diminuite addirittura di un terzo.

C’è però uno spiraglio di speranza che riguarda i settori più avanzati, nuovi, aperti alla concorrenza. Le cosiddette start up innovative, circa 14 mila, sono state create per il 15,7 per cento da under 35. Dovrebbero essere guardate con ammirazione, non con quel distacco o scetticismo — anche dal mondo bancario — che le induce spesso a trasferirsi all’estero o a ritenere di operare in una società con troppi vincoli burocratici e culturali. Molte di loro non ce la faranno. È normale. Ma forse dovremmo premiare anche i fallimenti. C’è qualcuno che ci prova. E non ha paura del futuro, lo sfida.

CORRIERE.IT

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