Berlusconi l’illusionista

Massimiliano Panarari

Abracadabra, a me gli occhi! Si sta celebrando, per l’ennesima volta, la «discesa in campo» di Silvio Berlusconi, l’«Illusionista Supremo». A schermi unificati, compreso il «dolce stil novissimo» di TikTok(Tak), come lo ha ribattezzato l’ultraottuagenario fondatore del primo partito personale italiano. Piattaforma nella quale il dominus nazionale della «neotelevisione» postmoderna si è infilato sulla scorta del motto «bene o male, purché se ne parli», puntando al rimbalzo comunicativo sui media mainstream. “Missione compiuta” da questo punto di vista, mentre non si può dire altrettanto dei contenuti programmatici e dello stile comunicativo, che paiono arrivare per direttissima da un’altra era. Praticamente quella del suo trionfale debutto elettorale, quasi che il tempo sia stato congelato. D’altronde, una delle parole che possiamo oggi più agevolmente associare al berlusconismo è quella di consuetudine, un pezzo del paesaggio e dell’arredamento (della vita pubblica). Se in queste ore di lutto i sudditi di sua maestà britannica realizzano che Elisabetta II è stata la Regina per antonomasia, e per molti decenni del Novecento una figura sempre presente (in senso letterale), noi italiani abbiamo, invece, il Cavaliere, al punto che per certe generazioni risulta impossibile immaginarsi una politica “deberlusconizzata”.

E, dunque, sui social il Berlusconi degli anni Venti del Duemila si propone con una propaganda marcatamente vintage, come se fosse appena uscito dalla macchina del tempo. Non essendo comunque il solo, ma ritrovandosi in abbondante compagnia, dal momento che – verosimilmente anche a causa della repentinità con cui siamo stati gettati in pasto al clima della competizione elettorale – molti partiti sembrano avere attinto in maniera massiccia ai propri temi e annunci «sempreverdi». E hanno così finito per scodellare altrettanti “grandi classici” del loro repertorio, che si rivelano anacronistici e stridenti al cospetto del contesto politico-economico emergenziale in cui ci troviamo immersi.

Peraltro, come documentato su queste pagine, il 96% delle promesse dei leader nella campagna odierna risulta privo delle relative coperture di bilancio. Pura prestidigitazione, in un Paese dove la tentazione di affidarsi con aspettative salvifiche all’uomo (o la donna) forte si rivela inesauribile. E dove il «pensiero magico», che prescinde dai numeri – i quali, poi, da ostinati disturbatori del manovratore arrivano sempre a presentare il conto (specie economico) –, è stato sparso a piene mani dai vari populismi. Di cui, il berlusconismo, non per nulla, è stato l’incubatore e la start-up. Pertanto, il presidente di Forza Italia estrae dal suo cilindro di prestigiatore della politica quella che spera essere una gallina dalle uova d’oro (elettorali). Ovvero, la ricetta dei mille euro (almeno…) di stipendio mensile per «i giovani» (verosimilmente le stesse generiche fasce anagrafiche a cui su TikTok si rivolge con l’ineffabile tono di voce infantile del baby talk). E, dunque, riecco l’«uomo col sole in tasca», in abbinata – ci si aspetterebbe – con un (gigantesco) tesoretto. Il quale, però, non c’è. Prima gli “impegni” e le promesse ai pensionati, ora alle generazioni più giovani, e una posizione fattasi più titubante rispetto all’abolizione del “reddito di cittadinanza” grillino. Siamo, appunto, di fronte all’iperottimistico libro dei sogni degli esordi, ma nel quadro di una finanza pubblica che non può minimamente permettersi di realizzarlo.

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