Scuola, Rachele Furfaro: “Sistema classista e senza visione, ma lo Stato non ha fatto nulla”
A Catania, dove c’è il più alto tasso di dispersione
scolastica europeo, invece di andare a togliere quei bambini dalla
strada si chiudono le classi.
«E qui veniamo al metodo,
oltre che all’inerzia. Perché troppo spesso l’istituzione scuola parla
un linguaggio che questi ragazzini non riconoscono. Autoreferenziale,
chiuso. Perché ci sia un processo di apprendimento un bambino, un
ragazzo deve essere attore di questo processo di crescita, partecipare,
nutrirlo con le proprie competenze e con il proprio sapere. Doris
Malaguzzi diceva: i bambini hanno 100 linguaggi molto interessanti,
saltare, ballare, cantare. Quel che fa la scuola è tagliargliene 99».
Per questo le sue scuole e Foqus nascono da un’idea di contaminazione?
«Sono
sempre stata convinta che gli insegnanti debbano curare le relazioni,
non i saperi. Costruire ponti con altri saperi, connessioni con
l’esterno, alleanze con le famiglie e con il territorio facendo in modo
che un bambino che nasce in un quartiere difficile possa guardare oltre,
saltare i muri».
Da cosa si parte?
«La cosa più importante è saper
nutrire l’immaginario. Se lo fai, diceva Alexander Neill, un bambino
potrà immaginare futuri diversi da quello a cui il suo quartiere sembra
costringerlo. Appena sono entrata nei Quartieri chiedevo ai miei
bambini: qual è la cosa più bella che ti piacerebbe fare? E la cosa
migliore era l’estetista o il barbiere: nessuno aveva mai nutrito il
loro immaginario».
E adesso?
«Adesso hanno incontrato Dante, hanno
fatto i campi scuola in altre città, vanno a Capodimonte, agli Uffizi.
Li portiamo ovunque, coltiviamo i loro sogni».
Nonostante lavoriate anche voi un una delle zone d’Italia con
il tasso più alto di bambini e ragazzi che a scuola non vanno, o che
abbandonano prestissimo.
«Nel 2019 la media della
dispersione scolastica era il 13,5 per cento. Dopo il Covid è molto
salita. Ma la cosa sconvolgente è che se si disgrega questo dato vediamo
che ai primi quattro posti ci sono le quattro maggiori regioni del
Mezzogiorno, dove il fenomeno dell’abbandono è associato alla povertà
vera. E quindi il fenomeno è frequente in Sicilia, Campania, Calabria,
Puglia, Sardegna. Ma – lo scrivo nel libro – persino di fronte a una
situazione così disastrosa, con 543 mila giovani che nel 2020 hanno
lasciato la scuola dopo la licenza media, mettendo l’Italia al terzo
posto nell’Ue per tasso di dispersione scolastica, niente è cambiato.
Anzi, siamo il Paese europeo che in percentuale spende meno in
educazione».
Non è l’unico dato che dimostra come anche per la scuola ci siano due Italie, una al Nord e una al Sud.
«Ce ne accorgiamo anche dai rapporti sulla qualità dei servizi: i fondi che vengono utilizzati dai comuni per le attività extracurricolari che possono aiutare bambini e ragazzi sono il 77,5% al Nord, l’87,5 al Centro, solo il 23,1 al Sud. Dove i comuni del Nord spendono 9,3 euro per i bambini da 6 a 12 anni, quelli del Sud spendono 50 centesimi. Ma con questa disomogeneità delle risorse, si fa fatica a costruire strategie. Avremmo potuto pensarci nel tempo del Covid, possiamo farlo con il Pnrr, ma bisognerebbe vedere l’urgenza. Frequentare le periferie del Paese. Volerle cambiare davvero».
LA STAMPA
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