La Norvegia “vincitrice” della guerra del gas chiude al tetto ai prezzi
Ora è arrivata una presa di posizione politica che per un Paese tradizionalmente abituato a una diplomazia ben più felpata significa sicuramente molto. In primo luogo, la scelta esplicita di non voler fare sconti, essendo l’energia il primo determinante delle entrate pubbliche del Paese. In secondo luogo, la rivendicazione di un autonomia in campo geopolitico e securitario: Oslo, membro fondatore della Nato, ritiene di stare facendo la sua parte nel blindare il contenimento della Russia e non vuole essere stigmatizzata. Infine, il Ft ricorda che in ogni caso anche il Paese deve leccarsi le ferite della crisi dell’inflazione e dell’energia dei mesi scorsi dato che “il suo fondo sovrano da 1,2 trilioni di dollari, che investe i proventi di decenni di produzione di petrolio e gas, ha perso il 14,4%, o 174 miliardi di dollari, nella prima metà di quest’anno – più di quanto il governo possa guadagnare dai prezzi record di petrolio e gas” ed è dunque interesse della Norvegia rimpinguarlo.
L’Unione Europea sull’accordo per un tetto al gas acquistato dall’estero rischia di restare col cerino in mano. Se a snobbarla è la Norvegia, partner sistemico e nazione europea a sua volta, risulta difficile pensare come accordi quadro di questo tipo possano essere presi con Paesi come Qatar, Algeria o Azerbaijan, a patto di riuscire a monte a trovare un punto di caduta nelle discussioni sul tetto ai prezzi nel mercato interno. La realtà dei fatti è che ci sono nazioni vincitrici delle ricadute economiche della guerra che hanno come obiettivo principe il difendere le rendite di posizione acquisite. La Norvegia è una di queste, e per Oslo gli affari sono affari anche di fronte a un’Europa in crisi. Capace di scoprire troppo tardi quelle azioni di diversificazione e regolamentazione dei mercati interni che sarebbero state necessarie ben prima dell’attacco russo all’Ucraina.
INSIDEOVER
IL GIORNALE
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