In democrazia tutti hanno il diritto di cambiare idea
Circa gli esempi appena fatti si potrebbe obiettare tuttavia che essi riguardano il mutamento di convinzioni maturate in un regime dittatoriale e perciò stesso non formatesi liberamente. Ovvio quindi ritenere più che lecito cambiarle. Ma la storia è piena di esempi di autorevoli personaggi che in condizioni di piena libertà hanno espresso opinioni più che discutibili e poi le hanno radicalmente mutate senza attirarsi per questo l’accusa di essere dei voltagabbana. Nel maggio del ’40, quando divenne primo ministro di una Gran Bretagna impegnata in un duello mortale con l’Asse a nessuno che io sappia venne in mente di ricordare a Winston Churchill le sue dichiarazioni di appassionata ammirazione per il fascismo e il suo capo di qualche anno prima. Allo stesso modo, per citare un altro caso, al De Gasperi che nel 1947 organizzò l’espulsione delle sinistre dal governo e si schierò totalmente dalla parte degli Stati Uniti nessuno, mi pare, ricordò, che solo tre anni prima in un famoso discorso al teatro Brancaccio di Roma aveva fatto uno sperticato elogio di Stalin.
Ma anche nell’Italia dei primi anni ’90 del secolo scorso non fu certo intentato alcun processo pubblico né ai due-trecento parlamentari né alle migliaia di rappresentanti negli enti locali eletti nelle liste del Partito comunista che in uno breve lasso di tempo cambiarono idea circa quello che storicamente rappresentava il termine comunista e decisero di disfarsene prendendo un altro nome (alcuni sostenendo addirittura che loro in realtà non erano neppure mai stati comunisti). E sì che sarebbe stato fin troppo facile ricordare loro un’infinità di dichiarazioni e scritti di cui erano stati autori e che ora avevano un significato a dir poco imbarazzante. Sarebbe stato facile ad esempio ricordare alla presidente della Camera Nilde Iotti che ancora nel 1988 (nel 1988!) aveva firmato una prefazione (va da sé laudativa) al libro Romania, socialismo, collaborazione e pace, autore quel noto campione delle istituzioni democratiche che rispondeva al nome di Nicolae Ceausescu (la cui opera omnia, peraltro, la casa editrice del Pci, gli Editori Riuniti, aveva continuato imperterrita a pubblicare per tutti gli anni ’80). Invece non accadde nulla di tutto questo. Ormai tutto era cambiato e un’opportuna coltre di discrezione e di silenzio fu stesa sul passato, sicché pure a chi per decenni non aveva avuto alcuna parola di particolare apprezzamento per i valori della democrazia liberale (anzi) fu accreditato senza problemi da parte dell’opinione pubblica che conta uno status di perfetto democratico. A nessuno insomma fu fatto l’esame del sangue. Giustamente: perché tra i diritti che la libertà assicura c’è anche quello di cambiare idea. Un diritto che così come viene riconosciuto agli elettori allo stesso modo va riconosciuto ai politici che si sottopongono al loro giudizio.
Non bisogna, infatti, confondere tutto questo con il trasformismo e con la sua sacrosanta condanna. Cambiare opinione è una pratica spregevole quando si cambia opinione per ottenere un beneficio personale dal potere (qualcosa di molto «tangibile» ma anche, mettiamo, un posto nel sottogoverno ovvero in una lista elettorale con successo garantito: come avviene in certe disperate cacce al parlamentare «disponibile» nell’occasione di un voto di fiducia a questo o quel governo), non già quando si muta in maniera manifesta il proprio punto di vista sul mondo o la propria collocazione sullo scacchiere politico e così «trasformati» ci si presenta a viso aperto davanti al corpo elettorale. In politica periodicamente tutti più o meno cambiano: anche questo si chiama democrazia.
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