Stipendi pubblici, Draghi stoppa il blitz: nessun aumento a generali e manager

ALESSANDRO BARBERA

ROMA. Accade spesso alla fine di governi e legislature. Chiamiamoli regolamenti di conti o – meno maliziosamente – i nodi che vengono al pettine. Fatto è che ieri, fra Palazzo Chigi, Tesoro e le alte burocrazie si respirava una tensione mai vista nell’anno e mezzo di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Due le ragioni, entrambe rilevanti per le sorti della campagna elettorale. La prima: la norma sugli extraprofitti delle aziende energetiche. Dopo la decisione di molti di ricorrere per la presunta incostituzionalità, i tecnici hanno discusso a lungo come riformularla. Nei piani di Draghi quella tassa avrebbe dovuto garantire almeno nove miliardi con i quali finanziare i tre decreti contro il caro energia. Nella migliore delle ipotesi gli incassi si fermeranno a tre miliardi e mezzo. Ebbene, nonostante questo il governo ha deciso di non rivedere le regole, né di inasprirle. Un funzionario sotto la garanzia dell’anonimato spiega il perché della scelta: «Molte grandi aziende pubbliche hanno sentito la pressione del governo, e deciso di pagare il dovuto. Ciò ha provocato forti ribassi in Borsa in una fase già tesa sui mercati».

Di qui la decisione di introdurre nel decreto Aiuti ter (dovrebbe essere approvato venerdì) solo un ritocco: della norma verrà modificata la parte a rischi ricorsi, perché fin qui ha colpito anche profitti non coerenti con gli aumenti del gas. «Se poi la nuova maggioranza vorrà cambiare le cose è libero di farlo». La questione che ha irritato Draghi è dover lasciare Palazzo Chigi con l’eredità di un flop: ad oggi lo Stato ha ottenuto poco più di un miliardo di euro. L’ultima strada per aumentare quel gettito resta quella europea, e la soluzione (se mai approvata dai capi di Stato) di introdurre una tassa a livello comunitario.

Le versioni sui responsabili del pasticcio sono molte. Sulla base delle voci raccolte, gli indiziati sono due: il dipartimento delle Finanze guidato da Fabrizia Lapecorella e gli uffici del sottosegretario Roberto Garofoli. Sia come sia, per avere quanto necessario al nuovo decreto (garantirà gli sconti sull’energia fino a dicembre) il Tesoro sta raschiando il barile: ancora ieri nessuno era in grado di scommettere se il decreto varrà i tredici miliardi fin qui ipotizzati.

L’altra ragione di scontro dentro i palazzi è un emendamento al decreto Aiuti bis (occhio alle differenze) che sta per essere votato in via definitiva in Parlamento. Proposta da Forza Italia e votato in Commissione all’unanimità da tutti i partiti, la norma permetterebbe ai vertici militari, di polizia, carabinieri e ministeri di derogare al tetto – introdotto ormai da qualche anno – che impedisce indennità superiori a quella del presidente della Repubblica, pari a 240mila euro l’anno.

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