Stipendi pubblici, Draghi stoppa il blitz: nessun aumento a generali e manager

Non appena avuta notizia del sì all’emendamento, dallo staff del premier è filtrato il nervosismo verso il suo (fin qui) fidato ministro del Tesoro, Daniele Franco. A precisa domanda dal Tesoro ammettono di aver dato parere favorevole alla norma, salvo aggiungere che ogni decisione su emendamenti così rilevanti è sempre concordata con Palazzo Chigi. «Forse qualcuno si è distratto. Se non Draghi in persona, qualcuno del suo staff», dice una seconda fonte. Per fugare ogni sospetto di complicità, il premier ha recapitato ai partiti un messaggio che si può riassumere così: «Non ho nessuna intenzione di mettere la faccia su una norma del genere mentre la gente fa i conti con l’inflazione e il caro energia». Che la faccenda si sia tramutata in un enorme boomerang l’hanno capito anche i partiti. Dopo il blitz in Commissione, in Aula si sono astenuti (voto di astensione, non contrario, ndr) Fratelli d’Italia, Cinque Stelle e Lega. Ora c’è chi ipotizza una norma soppressiva da inserire nel decreto ter: il Pd (che pure ha votato a favore) ora promette un ordine del giorno perché ciò avvenga. «Siamo contrari alla norma», diceva ieri sera senza sfumature il segretario Enrico Letta. Se così non fosse, e poiché la norma avrebbe bisogno di un decreto attuativo firmato dal presidente del Consiglio (Dpcm) Draghi ha già fatto sapere che non lo firmerà.

In quel caso l’ultima parola spetterà (di nuovo) al successore, ovvero (con molta probabilità) a Giorgia Meloni. Sintesi della storia: nei palazzi c’è molta gente impegnata a far scatoloni. In alcuni casi, a capire quale sarà il prossimo ufficio in cui farli consegnare. 

LA STAMPA

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