Kazakistan, il Papa ai leader religiosi del mondo: “Mai giustificare la violenza. Il sacro non sia puntello del potere. Dio porta pace, non guerra”
Papa Bergoglio scandisce: «Fratelli e sorelle! Permettetemi di rivolgermi a voi con queste parole dirette e familiari. Così desidero salutarvi, Capi religiosi e Autorità, membri del Corpo diplomatico e delle Organizzazioni internazionali, Rappresentanti di istituzioni accademiche e culturali, della società civile e di varie organizzazioni non governative, in nome di quella fratellanza che tutti ci unisce, in quanto figli e figlie dello stesso Cielo». Di fronte al «mistero dell’infinito che ci sovrasta e ci attira, le religioni ci ricordano che siamo creature: non siamo onnipotenti, ma donne e uomini in cammino verso la medesima meta celeste. La creaturalità che condividiamo instaura così una comunanza, una reale fraternità. Ci rammenta che il senso della vita non può ridursi ai nostri interessi personali, ma si inscrive nella fratellanza che ci contraddistingue. Cresciamo solo con gli altri e grazie agli altri. Ci troviamo in una terra percorsa nei secoli da grandi carovane: in questi luoghi, anche attraverso l’antica via della seta, si sono intrecciate tante storie, idee, fedi e speranze. Possa il Kazakistan essere ancora una volta terra d’incontro tra chi è distante. Possa aprire una nuova via di incontro, incentrata sui rapporti umani: sul rispetto, sull’onestà del dialogo, sul valore imprescindibile di ciascuno, sulla collaborazione; una via fraterna per camminare insieme verso la pace».
Il mondo «attende da noi l’esempio di anime deste e di menti limpide, attende religiosità autentica. È venuta l’ora di destarsi da quel fondamentalismo che inquina e corrode ogni credo, l’ora di rendere limpido e compassionevole il cuore». Ma è anche «l’ora di lasciare solo ai libri di storia i discorsi che per troppo tempo, qui e altrove, hanno inculcato sospetto e disprezzo nei riguardi della religione, quasi fosse un fattore di destabilizzazione della società moderna». In questi luoghi è «ben nota l’eredità dell’ateismo di Stato, imposto per decenni, quella mentalità opprimente e soffocante per la quale il solo uso della parola “religione” creava imbarazzo. In realtà, le religioni non sono problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa». La ricerca della «trascendenza e il sacro valore della fraternità possono infatti ispirare e illuminare le scelte da prendere nel contesto delle crisi geopolitiche, sociali, economiche, ecologiche ma, alla radice, spirituali che attraversano molte istituzioni odierne, anche le democrazie, mettendo a repentaglio la sicurezza e la concordia tra i popoli. Abbiamo dunque bisogno di religione per rispondere alla sete di pace del mondo e alla sete di infinito che abita il cuore di ogni uomo».
Condizione essenziale per uno sviluppo «davvero umano e integrale è la libertà religiosa»: è un «diritto fondamentale, primario e inalienabile, che occorre promuovere ovunque e che non può limitarsi alla sola libertà di culto. È infatti diritto di ogni persona rendere pubblica testimonianza al proprio credo: proporlo senza mai imporlo. È la buona pratica dell’annuncio, differente dal proselitismo e dall’indottrinamento, da cui tutti sono chiamati a tenersi distanti». Relegare alla sfera del privato «il credo più importante della vita priverebbe la società di una ricchezza immensa; favorire, al contrario, contesti dove si respira una rispettosa convivenza delle diversità religiose, etniche e culturali è il modo migliore per valorizzare i tratti specifici di ciascuno, di unire gli esseri umani senza uniformarli, di promuoverne le aspirazioni più alte senza tarparne lo slancio».
La pandemia, tra «vulnerabilità e cura, rappresenta la prima di quattro sfide globali che vorrei delineare e che richiamano tutti – ma in modo speciale le religioni – a una maggiore unità d’intenti». Il Covid-19 «ci ha messo tutti sullo stesso piano». Tutti ci siamo sentiti fragili, tutti bisognosi di assistenza; nessuno pienamente autonomo, nessuno completamente autosufficiente». Adesso, però, «non possiamo dilapidare il bisogno di solidarietà che abbiamo avvertito andando avanti come se nulla fosse successo, senza lasciarci interpellare dall’esigenza di affrontare insieme le urgenze che riguardano tutti». Secondo Francesco, «a ciò le religioni non devono essere indifferenti: sono chiamate a stare in prima linea, ad essere promotrici di unità di fronte a prove che rischiano di dividere ancora di più la famiglia umana». Nello specifico, «sta a noi, che crediamo nel Divino, aiutare i fratelli e le sorelle della nostra epoca a non dimenticare la vulnerabilità che ci caratterizza: a non cadere in false presunzioni di onnipotenza suscitate da progressi tecnici ed economici, che da soli non bastano; a non farsi imbrigliare nei lacci del profitto e del guadagno, quasi fossero i rimedi a tutti i mali; a non assecondare uno sviluppo insostenibile che non rispetti i limiti imposti dal creato; a non lasciarsi anestetizzare dal consumismo che stordisce, perché i beni sono per l’uomo e non l’uomo per i beni. Insomma, la nostra comune vulnerabilità, emersa durante la pandemia, dovrebbe stimolarci a non andare avanti come prima, ma con più umiltà e lungimiranza». Fino a quando continueranno a «imperversare disparità e ingiustizie, non potranno cessare virus peggiori del Covid: quelli dell’odio, della violenza, del terrorismo. Sì, perché è proprio l’indigenza a permettere il dilagare di epidemie e di altri grandi mali che prosperano sui terreni del disagio e delle disuguaglianze. Il maggior fattore di rischio dei nostri tempi permane la povertà».
Oltre a «sensibilizzare sulla nostra fragilità e responsabilità, i credenti nel post-pandemia sono chiamati alla cura: a prendersi cura dell’umanità in tutte le sue dimensioni, diventando artigiani di comunione, testimoni di una collaborazione che superi gli steccati delle proprie appartenenze comunitarie, etniche, nazionali e religiose. Ma come intraprendere una missione così ardua? Da dove iniziare? – si chiede il Pontefice – Dall’ascolto dei più deboli, dal dare voce ai più fragili, dal farsi eco di una solidarietà globale che in primo luogo riguardi loro, i poveri, i bisognosi che più hanno sofferto la pandemia, la quale ha fatto prepotentemente emergere l’iniquità delle disuguaglianze planetarie. Quanti, oggi ancora, non hanno facile accesso ai vaccini! – denuncia – Stiamo dalla loro parte, non dalla parte di chi ha di più e dà di meno; diventiamo coscienze profetiche e coraggiose, facciamoci prossimi a tutti ma specialmente ai troppi dimenticati di oggi, agli emarginati, alle fasce più deboli e povere della società, a coloro che soffrono di nascosto e in silenzio, lontano dai riflettori. Quanto vi propongo non è solo una via per essere più sensibili e solidali, ma un percorso di guarigione per le nostre società».
II Papa definisce «necessaria, per tutti e per ciascuno, una purificazione dal male. Purifichiamoci, dunque, dalla presunzione di sentirci giusti e di non avere nulla da imparare dagli altri; liberiamoci da quelle concezioni riduttive e rovinose che offendono il nome di Dio attraverso rigidità, estremismi e fondamentalismi, e lo profanano mediante l’odio, il fanatismo e il terrorismo, sfigurando anche l’immagine dell’uomo. Non giustifichiamo mai la violenza. Non permettiamo che il sacro venga strumentalizzato da ciò che è profano. Il sacro non sia puntello del potere e il potere non si puntelli di sacralità! Memori degli orrori e degli errori del passato, uniamo gli sforzi, affinché mai più l’Onnipotente diventi ostaggio della volontà di potenza umana».
Dio è «pace e conduce sempre alla pace, mai alla guerra. Impegniamoci dunque, ancora di più, a promuovere e rafforzare la necessità che i conflitti si risolvano non con le inconcludenti ragioni della forza, con le armi e le minacce, ma con gli unici mezzi benedetti dal Cielo e degni dell’uomo: l’incontro, il dialogo, le trattative pazienti, che si portano avanti pensando in particolare ai bambini e alle giovani generazioni. Esse incarnano la speranza che la pace non sia il fragile risultato di affannosi negoziati, ma il frutto di un impegno educativo costante, che promuova i loro sogni di sviluppo e di futuro».
Se la pace è la seconda «sfida globale», la terza è «l’accoglienza fraterna». Oggi è «grande la fatica di accettare l’essere umano. Ogni giorno nascituri e bambini, migranti e anziani vengono scartati. Tanti fratelli e sorelle muoiono sacrificati sull’altare del profitto, avvolti dall’incenso sacrilego dell’indifferenza. Eppure ogni essere umano è sacro». Ed è compito «anzitutto nostro, delle religioni, ricordarlo al mondo!. Mai come ora assistiamo a grandi spostamenti di popolazioni, causati da guerre, povertà, cambiamenti climatici, dalla ricerca di un benessere che il mondo globalizzato permette di conoscere, ma a cui è spesso difficile accedere. Un grande esodo è in corso: dalle aree più disagiate si cerca di raggiungere quelle più benestanti. Lo vediamo tutti i giorni nelle grandi migrazioni. Non è un dato di cronaca, è un fatto storico che richiede soluzioni condivise e lungimiranti. Certo, viene istintivo difendere le proprie sicurezze acquisite e chiudere le porte per paura – riconosce – è più facile sospettare dello straniero, accusarlo e condannarlo piuttosto che conoscerlo e capirlo. Ma è nostro dovere ricordare che il Creatore, il quale veglia sui passi di ogni creatura, ci esorta ad avere uno sguardo simile al suo, uno sguardo che riconosca il volto del fratello. Riscopriamo l’arte dell’ospitalità, dell’accoglienza, della compassione – esorta Francesco – E impariamo pure a vergognarci: sì, a provare quella sana vergogna che nasce dalla pietà per l’uomo che soffre, dalla commozione e dallo stupore per la sua condizione, per il suo destino di cui sentirsi partecipi». È la via «della compassione, che rende più umani e più credenti. Sta a noi, oltre che affermare la dignità inviolabile di ogni uomo, insegnare a piangere per gli altri, perché solo se avvertiremo come nostre le fatiche dell’umanità saremo veramente umani».
Un’ultima «sfida globale ci interpella: la custodia della casa comune. Di fronte agli stravolgimenti climatici occorre proteggerla, perché non sia assoggettata alle logiche del guadagno, ma preservata per le generazioni future, a lode del Creatore». Con cura «amorevole l’Altissimo ha disposto una casa comune per la vita: e noi, che ci professiamo suoi, come possiamo permettere che venga inquinata, maltrattata e distrutta? Uniamo gli sforzi anche in questa sfida. Non è l’ultima per importanza. Essa, infatti, si ricollega alla prima, a quella pandemica. Virus come il Covid-19, che, pur microscopici, sono in grado di sgretolare le grandi ambizioni del progresso, spesso sono legati a un equilibrio deteriorato, in gran parte per causa nostra, con la natura che ci circonda. Pensiamo ad esempio alla deforestazione, al commercio illegale di animali vivi, agli allevamenti intensivi… È la mentalità dello sfruttamento a devastare la casa che abitiamo. Non solo: essa porta a eclissare quella visione rispettosa e religiosa del mondo voluta dal Creatore. Perciò è imprescindibile favorire e promuovere la custodia della vita in ogni sua forma».
Al termine della sessione mattutina, è previsto – salvo cambiamenti dell’ultim’ora dovuti al tempo a disposizione delle personalità – che Papa Bergoglio dialoghi in forma privata con Ashimbayev; Al-Tayyeb; Nauryzbay Kazhy Taganuly, gran mufti del Kazakistan, capo dell’Amministrazione spirituale dei musulmani del Kazakistan; Lau; Yitzhak Yosef; l’arcivescovo Urmas Viilma, capo delegazione della Federazione luterana mondiale (Flm) e vice presidente della Flm, capo della Chiesa evangelica luterana in Estonia; Azza Karam, segretaria generale di Religions for Peace; il mufti Sheikh Ravil Gaynutdin, presidente del Consiglio religioso dei Musulmani della Federazione Russa; Teofilo III; Antonio; Moratinos.
Il pomeriggio sarà invece dedicato dal Papa alla piccola comunità cattolica del Kazakistan, con la messa alle 16,45 locali (le 12,45 in Italia) nel piazzale dell’Expo. Provenienti anche gruppi di fedeli cattolici provenienti dalla Russia.
LA STAMPA
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