Le destre d’Europa sono più vive delle sinistre: come sta cambiando la politica

Corrado Ocone

Con molta probabilità la Svezia non avrà più, fra qualche giorno, un governo socialdemocratico. Sì, proprio la Patria del welfare, quella che veniva dipinta a sinistra come la terra del benessere diffuso e dell’alta qualità della vita, dovrebbe essere guidata da una coalizione di centrodestra. Comunque andrà a finire (mancano ancora una manciata di voti per dire chiusa la partita), il dato più sorprendente è che, con circa un quinto dei suffragi, il partito dei Democratici, che la stampa mainstream continuerà a definire di «estrema destra», è diventato il secondo partito del Paese grazie a Jimmie Åkesson, un leader quarantatreenne che, come Giorgia Meloni in Italia, ha impresso alla formazione una rapida trasformazione in senso moderno.

Il tutto all’insegna di uno slogan un po’ trumpiano, ma che la dice lunga sulle sue intenzioni: «la Svezia deve ritornare ad essere bella». Il suo conservatorismo patriottico punta molto sui temi dell’identità, e quindi sulla lotta all’immigrazione clandestina e incontrollata, ma in un’ottica per niente xenofoba: nel 2010 Åkesson ha istituito una Carta che bandisce ufficialmente ogni razzismo ed estremismo dal partito. Inutile dire che i media si sbizzarriscono a scovare militanti, che spesso non solo tali, che organizzerebbero cene “nostalgiche” o sfoggierebbero simboli nazisti.

DIALETTICA TORY
Sono spesso quegli stessi media che hanno voluto dipingere la messa in minoranza di Boris Johnson a Londra come un portato della Brexit e della «impresentabilità» dell’ex premier inglese organizzatore di party in pieno lockdown. In verità, la lotta interna ai Tories non concerne affatto l’uscita dalla Ue, che è ormai considerata un dato di fatto ed è democraticamente accettata da tutti, ma la politica economica da seguire per far ripartire la Gran Bretagna e sfruttare le sue potenzialità.

Qui Johnson si è dimostrato un po’ traballante, non riuscendo a scegliere fra una svolta liberista alla Thatcher e una più «compassionevole» di aiuti e sussidi ai dimenticati della globalizzazione. In effetti, il dibattito su questi temi è aperto e molto acceso nel partito, ma da un leader ci si sarebbe aspettata probabilmente una posizione più netta. Certo, se si scende più a Sud, c’è il caso della Germa nia, retta ora da una coalizione rossoverde. Ma qui quel che è interessante osservare è che i popolari, lontani dal governo, si stanno sempre più allontanando dall’ideologia progressista, recuperando la propria tradizione liberale e conservatrice.

Il che, per la leadership che di fatto esercita la Germania in Europa, ha subito avuto un effetto a Bruxelles: a gennaio i popolari europei si sono sfilati dalla “maggioranza Ursula” e, alleatisi con le destre, hanno eletto una loro leader a guida della Commissione europea: la maltese Roberta Metsola, attestata su posizioni nettamente conservatrici.

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