Presidenzialismo, riforme e i poteri (nascosti) di veto
Le due condizioni che diedero a lungo stabilità alla democrazia non ci sono più. Sono scomparsi i forti partiti di un tempo («vasto programma» quello di chi vorrebbe farli risorgere). E sono finite le condizioni internazionali di sicurezza del passato: le turbolenze esterne sono cresciute e nulla fa pensare che non cresceranno ancora. Pertanto, il parlamentarismo assembleare fa oggi dell’Italia una zattera alla deriva. Il sotterfugio, l’espediente usato per aggirare gli ostacoli creati dalla debolezza dell’esecutivo, ossia il continuo ricorso ai decreti-legge, non è più sufficiente per compensare il difetto del manico, il vizio d’origine.
Negli ultimi trent’anni gli ostacoli che impediscono di rimediare al problema sono cresciuti. Perché, venuti meno i partiti forti di un tempo, la politica nel suo complesso si è indebolita e, in modo simmetrico, sono cresciute autonomia e poteri di altri gruppi. Come alta burocrazia, enti pubblici vari, magistrature di ogni tipo. Nessuno di questi gruppi ha interesse a un rafforzamento dell’esecutivo che ne ridurrebbe gli spazi di manovra. Oltre a tutto, questi gruppi sono in una posizione invidiabile. La politica, che sta sotto i riflettori, è esposta al pubblico ludibrio a causa della sua impotenza, della sua incapacità di affrontare i mali antichi del Paese. Quei centri di potere , invece, sono al riparo dai riflettori,non ricevono fischi né contestazioni. Nonostante la parte importante di responsabilità che hanno nel tenere bloccata la società italiana. Un gioco perverso: politica impotente, centri di potere nell’ombra che fanno il bello e il cattivo tempo.
I partiti(ciò che ne resta), dovrebbero riconoscere un comune interesse e trovare un punto di incontro per rimediare. Ma non possono, sono condannati a una zuffa permanente. Sulla zattera.
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