Italia fragile e miraggio Pnrr. A rischio oltre 7mila comuni (e i fondi Ue non basteranno)

Francesco Giubilei

La tragedia che si è abbattuta sulle Marche nella notte di giovedì sera è solo l’ultima catastrofe ambientale in ordine di tempo che ha colpito il nostro Paese. In ogni occasione in cui si verifica un dramma di tale entità, si ripete un copione tristemente noto in cui si invoca una maggiore cura del territorio e una prevenzione del dissesto idrogeologico. Passata la fase emergenziale, tutto torna come prima fino alla tragedia successiva in una spirale che si ripete ormai da decenni. A differenza del passato, in questa occasione ci sono due nuovi elementi nel dibattito politico e mediatico: il cambiamento climatico e le risorse del Pnrr.

Secono il rapporto Ispra sul Dissesto idrogeologico, il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è a rischio frane, alluvioni o erosione costiera. Ben 1,3 milioni di abitanti vive in zone a rischio frane (2,2% della popolazione) e 6,8 milioni (11,5% degli italiani) in territori esposti a possibili alluvioni. Si tratta di un pericolo che interessa persone, edifici, aggregati strutturali, imprese e beni culturali. Nonostante l’Italia, a causa delle sue caratteristiche meteo-climatiche, topografiche, morfologiche e geologiche sia un paese particolarmente esposto a questi fenomeni, gli investimenti in prevenzione sono del tutto insufficienti. Negli ultimi decenni è poi avvenuto un duplice fenomeno che, se da un lato ha portato a un’eccessiva antropizzazione di alcuni territori, dall’altro lato lo spopolamento delle aree appenniniche ha fatto sì che vi fosse una minore cura e investimenti ridotti in zone ritenute (a torto) secondarie. Il problema riguarda però tutto il territorio nazionale senza eccezioni e i dati sono preoccupanti; oltre a frane e alluvioni, 841 chilometri di litorali sono in erosione (pari al 17,9% delle coste basse italiane).

Da più parti sono invocate le risorse del Recovery Fund come soluzione al problema del dissesto idrogeologico sostenendo che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza destina 70 miliardi alla tutela dell’ambiente. In realtà, se si analizza nello specifico il piano italiano nella parte dedicata all’ambiente, è diviso in quattro voci: agricoltura sostenibile ed economica circolare, energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile, efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, tutela del territorio e della risorsa idrica.

Perciò, a fronte dei circa 70 miliardi complessivi per i temi ambientali, solo 8,49 miliardi sono destinati al dissesto idrogeologico. Considerando che in Italia ci sono 7.904 comuni e, supponendo che ad ogni comune spetti la stessa cifra (cosa che ovviamente non sarà così), si tratta di circa 1 milione di euro a comune, un importo del tutto insufficiente per pensare di coprire gli investimenti necessari per fronteggiare il dissesto idrogeologico. Anche supponendo che tutte le risorse del Pnrr stanziate per questa voce siano investite correttamente, senza sprechi e ritardi, i fondi non sarebbero comunque sufficienti. Perciò lo Stato dovrebbe o mettere in campo altri investimenti oppure ridiscutere con l’Ue la percentuale di risorse dedicate al contrasto del dissesto idrogeologico nel Pnrr.

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