Corrado Augias: “Nel mondo nuovo che sta nascendo non c’è cultura che nutra la politica”
Adesso non c’è bisogno neanche di quella? Di una cornice logica in cui inserire le proposte politiche?
«Adesso Meloni può dire assurdità come: difendiamo il diritto delle donne di non abortire. Mi ricorda la terrorizzante campagna sul divorzio di Amintore Fanfani, quando diceva: «Vi costringeranno a divorziare. I vostri mariti fuggiranno con le cameriere», sono cose sentite con le mie orecchie. Senza pensare a quell’impresentabile Salvini che da dieci anni ripete le stesse cose, sbarriamo le frontiere».
Come fosse possibile, o umano.
«Come avesse senso. C’è questa assoluta aridità della loro visione politica che li fa strisciare – dal punto di vista dialettico – a livello del suolo, ma non possono fare un discorso diverso perché non conviene loro e perché non lo sanno fare».
Lei dice che è sparita anche la religione, ma mai è stata tanto ostentata – a destra – come in queste elezioni: il rosario, l’“io credo”, la famiglia tradizionale cristiana.
«È appena uscito un bellissimo libro per Carocci, Il potere delle devozioni, dove Daniele Menozzi parla proprio dell’uso politico della pietà popolare. L’odierno populismo fa ricorso a livello planetario all’uso politico di devozioni tradizionali, da Bolsonaro a Orban, da Le Pen a Salvini, l’ostentazione di simboli religiosi depositati da secoli nella memoria cristiana è la risposta nazionalistico-identitaria alla crisi della globalizzazione. In un mondo sempre più secolarizzato, con le chiese vuote, le persone che escono dalla messa senza sapere cosa sia la comunione, i fondamentalisti usano la religione come un’arma. Lo fanno gli islamisti, che ammazzano, e Salvini, che non ammazza ma usa la croce per chiudere i comizi. La religiosità, la spiritualità, sono andate a farsi benedire».
Davanti a tutto questo la sinistra si divide, perde in luoghi considerati culla della socialdemocrazia come la Svezia, si disintegra da noi impegnandosi in guerre intestine.
«La sinistra sta scontando un destino che la colpisce di più perché è figlia di questa cultura morente. Il suo pensiero viene dagli enciclopedisti di metà del ’700, dagli utilitaristi inglesi come John Stuart Mill. È depositaria di questo importante nucleo di pensiero, pensa a Gramsci, a Gobetti, a tutta l’onda che ha accompagnato la storia dei partiti e degli intellettuali. Sai perché erano più di qua che di là? Perché erano snob? Per niente, ma solo all’interno di quel pensiero riuscivano a ragionare nei termini in cui un artista, un intellettuale, uno scrittore deve farlo».
Non credi come Meloni che c’entri la tessera della Cgil?
«Sono chiacchiere da comizio. Le risposte sono più profonde. Perfino quando Bottai organizzava i “ludi littoriali” era costretto a invitare anche gli oppositori del fascismo altrimenti non c’era pensiero, non c’era dibattito. Ma magari Meloni che è donna molto intelligente sta già pensando a come attirare intellettuali e nuova classe dirigente».
C’è un tentativo di allargare la base di Fratelli d’Italia, di farne un partito conservatore che si ispira ad altre famiglie politiche. Poi però votano a favore di Orbán contro un rapporto del Parlamento europeo. Non è una contraddizione?
«Hanno tirato fuori la faccia vera. Come fai a proclamarti atlantista, europeista, se appoggi chi ha strozzato l’Ungheria, dove non c’è più una voce di dissenso che sia tollerata? L’idea che mi sono fatto, non so quanto sia giusta, è che abbiano vincoli per cui non potevano non farlo».
Distruggendo il tentativo di accreditamento internazionale?
«Sono ancora dentro il loro passato. Per Fratelli d’Italia voteranno frange nazifasciste che ancora esistono. E non puoi dire solo “quelli che fanno il saluto romano sono dei cretini”, questo è folclore. La sconfessione politica è un’altra cosa. Meloni ha bisogno di quei voti, di quel passato, della sua consistenza elettorale, e per questo vive in una costante ambiguità».
LA STAMPA
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