Meloni: «Basta turarsi il naso, siamo pronti. Presidenzialismo anche da soli»

di Paola Di Caro

Il comizio finale del centrodestra a Roma. Tensioni sui ministri. Meloni: divisa da Orbán su molte cose. Covid, non piegheremo più la libertà

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Trentatré mesi dopo, tornano assieme sul palco Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, stavolta con Maurizio Lupi in più. Per il penultimo giorno di campagna elettorale, accade quello che non succedeva dal gennaio 2020, quando a Ravenna insieme chiesero all’Emilia Romagna di voltare pagina e votare per loro.

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Non fu così, e molte divisioni da allora hanno segnato il cammino del centrodestra. Qualcuna ancora resta, ma non tale da far pensare ai suoi leader che l’occasione di domenica non sia da cogliere per tornare al governo dopo 11 anni, con pesi completamente ribaltati fra i partiti ma ancora uniti. E con un programma di cui ciascuno rivendica un pezzo ma che poi Meloni sintetizza con un avvertimento: «Faremo una riforma in senso presidenziale e saremo felici se la sinistra vorrà darci una mano» ma se ci saranno «i numeri, noi la faremo lo stesso». Il tutto dopo aver cercato di diradare i nuvoloni neri sulla polemica del sostegno ad Orbán: «Non sono d’accordo con lui su tante cose, soprattutto sulla politica estera».

Ognuno lascia un segno sul mega palco di piazza del Popolo davanti a una folla per la stragrande maggioranza composta da militanti di FdI, comunque obbedienti tanto da applaudire calorosamente tutti, perché contano poco oggi le rivalità di partito, in palio c’è molto di più. E lo sanno anche Meloni, Salvini, Berlusconi e Lupi, che smussano le differenze e privilegiano l’unità. Berlusconi parla molto al passato rievocando i tempi dei suoi governi e insiste sul concetto che gli è caro: «Vogliamo un Paese più libero», dopo aver detto in tv che Putin «è caduto in una situazione difficile e drammatica», perché «è stato spinto dalla popolazione russa, dal suo partito e dai suoi ministri ad inventarsi questa operazione speciale».

Lupi grida che essere moderati non vuol dire non voler fare quello che serve «al popolo». Salvini, che si fa presentare come «il ministro degli Interni più amato di sempre», si ritaglia il ruolo di chi «proteggerà» gli italiani da un’Europa che mette gli italiani in difficoltà, da chi ha impedito la cancellazione della Fornero che sarà «il nostro primo provvedimento», dalla «droga», dai «clandestini» e da una sorta di invasione straniera («Chi viene qui deve imparare a dire grazie e prego») contro i quali è pronto a bloccare ancora le navi, da tasse come il canone Rai, dalle «cancellerie» di «Bruxelles, Parigi, Berlino che vorrebbero dirci per chi votare, e invece si mettano il cuore il pace, qui decidono gli italiani».

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