Buste paga più pesanti con il «bonus» 600 euro di Draghi: cos’è e perché conviene
tra l’8,8% e il 14,7% di reddito disponibile in più
Se si estendesse questa innovazione anche al welfare aziendale, eliminando l’eccessivo iter burocratico che ha affossato la possibilità di percepire fino a tre mila euro in esenzione fiscale e contributiva, e lo si portasse a 2.000 euro l’anno netti, l’incremento medio per i redditi fino a 15 e 25 mila euro sarebbe rispettivamente del 14,7% e dell’8,8%. Il governo Draghi ha inoltre previsto in modo sperimentale il «bonus trasporti» pari a 60 euro l’anno. Se al posto del click day si copiasse la vicina Svizzera e si portasse la quota di rimborso del datore di lavoro a 600 euro l’anno con le stesse esenzioni già indicate e se al posto dei miseri 6,5 euro al giorno per il buono pasto cartaceo e gli 8 euro per quello elettronico, si elevasse la cifra a 12 euro, sempre a carico del datore di lavoro e con le esenzioni indicate, i dipendenti si troverebbero un ulteriore netto di 900 euro l’anno.
L’impatto sulle pensioni
Riepilogando, la differenza tra decontribuzione e queste erogazioni di retribuzione esente (cioè netta da imposte e contributi) è che la prima costa allo Stato sia per trasferimenti di contributi figurativi agli enti previdenziali sia per rivalutazione degli stessi e poi come pagamento della pensione mentre l’erogazione, fa perdere allo Stato solo l’Irpef (in media per redditi fino a 25 mila euro con persone a carico, meno del 5%) che viene abbondantemente recuperata con la tassazione diretta e indiretta quando queste somme vengono spese (Iva, accise, Ires, Irpef) ed essendo a totale carico delle imprese, non genera oneri per lo Stato. L’aumento netto in busta ammonterebbe a 3.500 euro l’anno ben il 10% per un lordo di 35 mila euro e il 17,5% per 20 mila euro di lordo, portando i redditi italiani a livello dei migliori Paesi europei. Anche per gli autonomi si possono studiare misure compensative. È così difficile?
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