Il Pd a pezzi tra veleni e sospetti. Il leader: “Si eviti una notte di lunghi coltelli”
Tutti quelli fatti fin qui sono ragionamenti che il segretario Letta condivide. Rimango «per amore del Pd», ha detto. «Accompagnerò il partito al Congresso continuando a perseguire l’unità, per evitare che scatti la notte dei lunghi coltelli». Perché anche stavolta, e non è la prima, non è solo in gioco la leadership del Pd, ma la sua stessa esistenza. Nessuno però crede a quel che dice oggi: e cioè che sarà un arbitro imparziale, pronto a incoronare chi gli succederà senza cercare di indirizzare la truppa parlamentare che ora – per la prima volta – avrà in Parlamento. E così il fair play di queste ore non è detto che duri, che non si trasformi molto presto nell’ennesimo “tutti contro tutti”.
Gli errori fatti nella costruzione delle alleanze – che Andrea Orlando rinfaccia nel post Facebook inviato ieri a ora di cena – sono stati considerati non parabili da tutti coloro che hanno lavorato insieme al segretario nelle settimane della campagna elettorale. Ma inevitabilmente, sono ora qui a chiedere il conto. E quindi la disfida interna rischia di tornare quella di sempre, o almeno degli ultimi cinque anni, con buona pace di costituenti, percorsi ordinati e congressi profondi: Conte o non Conte? Oppure, Conte o Calenda? Tornare ad allearsi subito con i 5 stelle per fare insieme opposizione – come chiede senza troppi giri di parole il ministro del Lavoro uscente – o imparare cosa significhi fare opposizione, arte dimenticata da troppi anni dai dem, accusati da più parti di essere un partito solo e sempre governista. E di aver pagato anche questo, lo schiacciamento su un’agenda Draghi che non c’era.
L’unico a saper dare una risposta netta a questa domanda è chi si è chiamato fuori dalla corsa, proprio Letta. Per il segretario pd la frattura con Conte è insanabile: «Lui e Calenda hanno lanciato un’opa sul Pd, volevano trasformarlo nel partito socialista francese dissanguandolo, abbiamo fatto una campagna elettorale in cui tecnicamente tutti gli altri partiti attaccavano noi. Ma non è solo questo: l’ambiguità di Conte ha toccato un principio per noi non negoziabile, l’appoggio incondizionato all’Ucraina dopo l’aggressione russa».
Tra Letta, Conte e Calenda – gli insulti reciproci continuavano ancora ieri – nulla può essere sanato. Guerini però proprio ieri ricordava un aneddoto del vecchio Pci: «Quando Pajetta andò a occupare con alcuni compagni la prefettura di Milano chiamò Togliatti per dirglielo: «Segretario, abbiamo occupato!». E lui: «Complimenti compagno Pajetta, e ora che ci fate?». Questo chiederebbe il ministro della Difesa tanto a Conte che a Calenda: «Siete risaliti, avete il 7 e il 15 per cento, ma ora che ci fate? C’è un tema di prospettiva politica che prima o poi anche loro dovranno porsi». E quindi, tutti tranne Letta, perfino l’ostile Guerini, sanno che di alleanze si tornerà per forza a parlare. C’è da scommetterci, ancor prima del congresso.
LA STAMPA
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