La terza vita di Conte da legale a deputato. I 5s sono la Lega Sud
Giuseppe Conte ha una nuova vita politica, la terza in un ordine temporale ristretto. Dopo l’«avvocato del popolo», anche nelle vesti di premier sovranista, e il «punto di riferimento fortissimo dei progressisti» come leader del governo giallorosso, lo vedremo nel ruolo di parlamentare e capo grillino. Un occhio sarà giocoforza rivolto agli schemi: considerando la situazione venutasi a creare al Nazareno, prende piede una possibile e rinnovata alleanza con la formazione che non sarà più guidata da Enrico Letta. Tanto Conte ha abituato ai cambi repentini. Il trait d’union è il populismo liquido: il mezzo ideologico attraverso cui Giuseppi continua la navigazione su acque molto diverse tra loro. Lo strumento che gli ha consentito di poter essere equiparato tanto al trumpismo quanto ad una vaga idea di socialismo assistenzialista di ritorno. L’ex presidente del Consiglio avrebbe potuto tentare l’elezione in altre circostanze durante la scorsa legislatura, per esempio nel giro valevole per le suppletive romane nel collegio di Primavalle. Ai tempi ha preferito non rischiare, aspettando un’occasione con delle certezze in più. La vittoria in capitale non era affatto scontata, come la sconfitta di Virginia Raggi ha dimostrato. Comunque sia, il colpo, nonostante il calo di consensi personali rispetto a quelli registrati dai sondaggi quando sedeva al vertici di due esecutivi, è riuscito. Certo, il Movimento 5 Stelle non ha più nessuna caratteristica delle origini: ora come ora assomiglia ad una sorta di Lega Sud. E del partito che voleva ribaltare le logiche della politica tradizionale, con l’apertura della scatoletta di tonno e il resto del sussidiario antisistemico, è rimasto soltanto un velato ricordo. Oggi il vertice pentastellato non può che cantare vittoria. La conferenza stampa di ieri è stata aperta con l’espressione «grande successo». Subito dopo, l’avvocato originario di Volturara Appula ha bocciato la narrativa tagliata sul «partito del Sud». Sono i dati, però, ad aver assecondato l’impostazione politologica. Dopo il riconoscimento della vittoria del centrodestra e gli auguri a Giorgia Meloni, l’ex capo dell’esecutivo ha iniziato a indossare gli abiti di capo dell’opposizione preoccupato per l’avvenire: «Noi siamo pronti a difendere i nostri valori, non faremo nessuno sconto, siamo consapevoli che c’è stata una rimonta per la nostra forza politica, ma non festeggiamo, guardiamo con preoccupazione al futuro», ha detto. La staffilata più decisa è stata riservata a Letta, ricordando la sconfitta al segretario dem e invitandolo a non cercare «capri espiatori». Il messaggio nascosto emerge subito: l’unità del centrosinistra dipenderà per gran parte dai rapporti politici che Conte avrà con la prossima segreteria Pd. Il capo grillino lo ha palesato: «Non ci sarà nessun dialogo con questo gruppo dirigente – ha spiegato -, però vorrei chiarire che il problema non è una questione personale ma di punti politici, non è questione di gruppo dirigente, ma di agenda, che Pd verrà fuori, con quale prospettiva».
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