La libertà, il voto e i giudizi sbagliati
di Sabino Cassese
In Italia non è a rischio la democrazia, e neanche le alleanze che ai «sovranisti» non conviene mettere in dubbio, perché così facendo danneggerebbero l’interesse nazionale. Preoccupa invece l’astensione, cresciuta repentinamente
D emocrazia e libertà non sono a rischio, in Italia, e coloro che temono attentati derivanti dalla polarizzazione asimmetrica uscita dalle elezioni (da un lato una coalizione, dall’altro frantumi) e dalla guida del governo affidata a una forza politica che ne è stata finora lontana, muovono da un giudizio errato sulla stabilità del nostro sistema politico-costituzionale.
Una società abituata da tre quarti di secolo a democrazia e libertà non vi rinuncia facilmente; inoltre, non va sottovalutata la forza educatrice della democrazia e del suo indissolubile legame con il rispetto dei diritti. La Costituzione, i cui principi fondamentali sono immutabili (secondo un orientamento della Corte costituzionale che risale a molti anni fa), prevede presidi istituzionali alla partecipazione dei cittadini e al rispetto dello Stato di diritto, e contiene barriere sufficientemente alte alle sue stesse modificazioni. Il radicamento sociale di democrazia e libertà ha prodotto e produce anticorpi che consentono al sistema di autocorreggersi. La diffusione delle democrazie interne (8 mila comuni, 20 regioni, i cui vertici sono eletti) assicura un forte pluralismo istituzionale. La forza dei poteri indipendenti, che possono agire all’occorrenza da contropoteri, è indiscussa.
Non dovrebbe neppure preoccupare la dis-proporzionalità prodotta dalla legge elettorale. Il numero di voti andato al centrodestra non è molto diverso da quello del 2018, e anche il centrosinistra non è molto distante dal 201 8; solo il M5S si è dimezzato.
Tuttavia, secondo gli ultimi dati, la prima coalizione avrà 237 dei 400 seggi della Camera e 115 dei 200 seggi del Senato. Con il 44 per cento dei voti, avrà poco più del 59 per cento dei seggi. È un premio pari a quello previsto dalla legge del 1953, presentata da De Gasperi (anche se quest’ultima lo riconosceva alla forza politica che raggiungesse la maggioranza dei voti). Nel saliscendi della politica, quella che viene chiamata democrazia dell’alternanza — e che faceva ritenere la democrazia della cosiddetta Prima Repubblica una «uncommon democracy» perché un partito restava sempre al governo — stare all’opposizione rigenera e premia, come dimostrato dalle scelte elettorali a favore di FdI, che si è valsa anche di una leader donna e più giovane di tutti gli altri capi-partito, ma soprattutto della forza di rappresentare l’unico partito che non aveva avuto la guida del governo.
Anche le dichiarazioni «sovraniste» non dovrebbero preoccupare. Le alleanze di cui lo Stato italiano fa parte sono dettate da reciproche convenienze. Se vogliamo bere birra tedesca, dobbiamo essere sicuri della sua sanità e qualità, e dobbiamo quindi affidare a una autorità europea il controllo della sicurezza degli alimenti. Se vogliamo spendere per la difesa meno della metà, rispetto al prodotto interno lordo, degli Stati Uniti, ci conviene affidare alla Nato la difesa comune. Se vogliamo esportare prodotti manufatturieri (l’Italia è il secondo Paese in Europa), abbiamo interesse ad abbattere le barriere commerciali, e quindi a fare parte dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Il «sovranismo» è mosso dalla difesa dell’interesse nazionale, ma questo si difende proprio cedendo una parte della sovranità, in alcuni campi, come fanno i membri di un condominio, che non rinunciano alla proprietà dell’abitazione, ma mettono in comune la gestione delle scale, la loro illuminazione, la retribuzione del portiere, e non hanno interesse a rinunciare ai benefici che traggono mettendo in comune beni, servizi e costi. Insomma, ai «sovranisti» non conviene mettere in dubbio le alleanze dell’Italia, perché così facendo danneggerebbero l’interesse nazionale. Infine, i «sovranisti» verbali, quelli che vorrebbero mettere il diritto italiano al di sopra di quello europeo, forse non sanno che sono anni che la Corte costituzionale italiana ha configurato la teoria dei controlimiti, per cui le norme internazionali da immettere nell’ordinamento italiano vanno rese compatibili con i principi irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale nazionale.
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