La libertà, il voto e i giudizi sbagliati
Il vero motivo per preoccuparsi, emerso il 25 settembre, è un altro: l’astensione. E non tanto perché è comparativamente alta (altri Paesi, come Regno Unito, Stati Uniti e Francia, registrano una partecipazione elettorale tra il 67 e il 49 per cento), quanto perché l’Italia era partita e si era mantenuta per qualche decennio ad un livello molto alto di partecipazione al voto (superiore al 90 per cento) e si era poi attestata poco al disopra del 70 per cento, con diminuzioni progressive, ma lente, mentre questa volta, a distanza di meno di cinque anni, la partecipazione al voto è diminuita repentinamente del 10 per cento circa. I significati di questa partecipazione improvvisamente tanto ridotta possono esser molti: sfiducia nella efficacia del sistema politico-costituzionale, debolezza della offerta politica dei partiti, rifiuto della formula elettorale, che lascia poca libertà di scelta, rigetto della classe politica, specialmente al Sud.
La limitata partecipazione al voto non solo aumenta il distacco Stato-società e riduce il perimetro della base dei poteri pubblici, ma produce anche un effetto di rappresentatività di cui bisognerà tenere conto. Se gli aventi diritto al voto in Italia erano 46 milioni e solo circa 29 di questi ha votato, e se quelli che hanno dato il loro voto alla coalizione vincente sono poco più di 12 milioni, le forze politiche che andranno al governo dovranno tener conto che rappresentano soltanto un quarto dell’elettorato italiano. Questo ha due implicazioni. Da un lato, suggerisce una gestione temperata e dialogante del governo. Dall’altro consiglia di guardare con attenzione agli astenuti, cercando di interpretare il silenzio dei non votanti, che potrebbero divenire gli elettori di domani.
Infine, questa osservazione ci riporta al punto critico della nostra democrazia, costituito dalla debolezza dei partiti e dal loro scarso radicamento sociale, con le conseguenze note della fluidità dell’elettorato, delle sue fluttuazioni, delle continue manifestazioni della sua insoddisfazione: negli ultimi decenni abbiamo visto forze politiche crescere sei volte in cinque anni, quadruplicarsi, triplicarsi, ma altrettanto rapidamente percorrere la strada opposta.
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