I paletti di Berlusconi sugli Esteri: “Cara Giorgia, serve un politico”
Ilario Lombardo
ROMA. Come solo lui sa fare, miscelando l’avvertimento con il massimo del garbo, Silvio Berlusconi ha ricordato a Giorgia Meloni che Forza Italia è «decisiva» per la maggioranza «sia alla Camera che al Senato». Per una regola della politica che in Italia è sempre valida, i partiti minori di una coalizione sono quelli che possono avere potere di vita e di morte su un governo. Vale per gli azzurri del patriarca di Arcore, come per Matteo Salvini. Ed è chiaro che in un’alleanza a tre, il primo passo di chi guida non deve essere imprudente verso nessuno degli altri due soci.
Meloni ha capito il messaggio ben prima di mettere piedi nella villa brianzola. Si era preparata all’incontro leggendo l’intervista de La Stampa in cui Berlusconi ieri ha precisato quali siano gli elementi utili per una buona convivenza. Due paletti, su tutti. Il fondatore di Fi è furioso per come sono stati spartiti i collegi uninominali prima del voto. L’effetto indubbiamente distorsivo ha premiato la Lega, che con quasi gli stessi voti dei forzisti ha incassato più parlamentari. Un’ingiustizia agli occhi dell’ex premier che va sanata concedendo a Fi lo stesso numero di ministri del Carroccio, e almeno uno di prima fascia. Come Salvini, poi, Berlusconi non vuole un governo sbilanciato sulla parte tecnica. Va bene avere un tecnico all’Economia, perché l’ombra di un disastro sociale sconsiglia di azzardare profili che non siano rassicuranti per Bruxelles; va bene, al limite, farlo per l’Interno, perché il caso Salvini, dopo un anno e mezzo al Viminale al tempo del governo gialloverde, non tranquillizza nessuno, dal Quirinale in giù. Ma sul resto, sostiene il leader, «servono figure politiche».
Lo schema dei due vicepremier politici – in teoria: Salvini e Antonio Tajani per Fi – regge, ma non basta. Per esempio, Berlusconi pensa che agli Esteri non debba andare un esperto esterno ai partiti, un ambasciatore, o Elisabetta Belloni, ex segretario generale della Farnesina, e attuale capo del Dis, il Dipartimento che coordina i servizi segreti. Non è questione di stima, perché Belloni è stimatissima tra gli azzurri. Ma di forma. I berlusconiani credono che se in un governo come quello di Draghi ci sia stato spazio per un leader politico come Luigi Di Maio, a maggior ragione con Meloni premier quella poltrona potrà andare ai rappresentanti di vertice di uno dei tre principali partiti della maggioranza. Per Berlusconi il più adatto sarebbe Tajani. L’argomento è stato toccato durante il confronto di ieri. L’ex presidente dell’Europarlamento, è la tesi del Cavaliere, «darebbe una garanzia in Europa» alla futura presidente del Consiglio, perché la coprirebbe con i popolari, ma anche grazie alle sue ottime relazioni trasversali. In generale, leghisti e forzisti pensano che, dopo aver raccolto consensi contro Draghi, rivendicando il primato della politica, Meloni cadrebbe in contraddizione se dovesse forzare sui tecnici, anche di altissimo livello.
L’alternativa – di partito – per la Farnesina potrebbe essere Adolfo Urso, presidente uscente del Copasir, tornato da due viaggi, negli Usa e in Ucraina, che sono serviti per dimostrare la fede atlantica del nuovo corso in Italia. Tra lui e Tajani è sfida a due per chi andrà alla Difesa e chi agli Esteri. Il prescelto potrebbe accompagnare la futura premier a Kiev. Ieri Meloni ha ricevuto l’invito del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e dentro FdI non escludono che potrebbe essere uno dei primi viaggi che farà dopo l’ingresso a Palazzo Chigi. Sarà interessante, anche per il rapporto non semplice dei sovranisti italiani con l’asse franco-tedesco, quali tappe iniziali sceglierà per il suo tour nelle cancellerie europee e tra i Paesi alleati.
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