Perché sul gas l’Italia rischia di fare i conti con lo scenario peggiore
L’ombra della penuria di gas si allunga sull’Europa intera, Italia compresa. Le ultime vicende lasciano presagire un futuro incerto e carico di ulteriori tensioni. Non bastasse il misterioso sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, con le accuse reciproche rimbalzate tra Stati Uniti/Unione europea e Russia, e le inevitabili conseguenze a cascata su tutto il mercato energetico europeo, ecco che tornano ad affiorare le mai risolte spaccature tra i membri Ue.
È lontano, infatti, l’accordo sul price cap, ovvero sul tetto da imporre al prezzo del gas. Da una parte troviamo la Germania, contraria a questa soluzione, dall’altra 15 Paesi, tra cui l’Italia, che l’hanno invece caldeggiata e sostenuta in una lettera inviata a Bruxelles. Ma non è finita qui, perché nel documento informale presentato dalla Commissione europea è ben evidente una seconda divergenza: quella tra i sostenitori del price cap al prezzo del gas, inteso come all’intero import della preziosa risorsa, e i fautori di una misura meno radicale, che vorrebbero invece applicare il price cap solo al gas di provenienza russa.
In uno scenario del genere, la stessa Commissione ha messo sul tavolo due proposte. La prima: lanciare un nuovo indicatore del mercato del gas da affiancare al Tdt di Amsterdam, e dedicato al Gnl – ovvero al gas naturale liquefatto – per slegare quest’ultima fornitura dai rincari del gas dovuti ad eventuali manipolazioni di Gazprom. La seconda: imporre un tetto al prezzo del gas usato per generare elettricità.
Questo ipotetico sistema comporterebbe un prezzo amministrativo ottenuto attraverso un intervento pubblico che andrebbe a pesare sui bilanci dei singoli stati membri. Più nello specifico, il sistema elettrico nazionale di ciascun Paese si farebbe carico di pagare la differenza tra il prezzo di mercato del gas e quello figlio del price cap. Il punto è che, lasciando ai singoli governi la possibilità di calmierare i prezzi, si creerebbe una spaccatura tra quei Paesi che possono effettivamente intervenire in maniera massiccia, perché dotati di un ingente spazio fiscale, e quelli che, al contrario, hanno le mani legate.
Il gas divide l’Europa
La Germania, intanto, ha attivato uno “scudo” di un valore compreso tra i 150 e i 200 miliardi di euro per calmierare i prezzi del caro energia. Berlino attingerà a piene mani dal Fondo di stabilizzazione economica, un fondo al di fuori del normale bilancio federale. “Il prezzo del gas deve andare giù”, è l’imperativo categorico del cancelliere tedesco Olaf Scholz.
C’è la Germania, dunque, e poi ci sono gli altri Paesi, alle prese con strane scomparse di gas e rebus all’apparenza irrisolvibili. Prendiamo l’Italia. “Gazprom ha comunicato di non poter confermare la consegna dei volumi di gas richiesti per oggi (sabato 1 ottobre ndr) a causa della dichiarata impossibilità di trasportare il gas attraverso l’Austria. Oggi, pertanto, i flussi di gas russo destinati a Eni attraverso il punto di ingresso di Tarvisio saranno nulli”, informava l’Eni sul proprio sito.
Poco dopo è arrivato un chiarimento da parte di un portavoce della stessa Eni: “A partire da oggi Gazprom non sta più consegnando il gas ad Eni poiché, stando alle sue comunicazioni, non sarebbe in grado di ottemperare agli obblighi necessari per ottenere il servizio di dispacciamento di gas in Austria dove dovrebbe consegnarlo”. La frase chiave è però la seguente: “Ci risulta però che l’Austria stia continuando a ricevere gas al punto di consegna al confine Slovacchia/Austria”.
Dal canto suo Gazprom ha affermato che “il motivo di questa interruzione sono le modifiche normative in Austria” e che la società russa “sta lavorando per risolvere il problema insieme all’Italia”. “Il trasporto di gas russo attraverso l’Austria – ha aggiunto il colosso russo – è stato sospeso a causa del rifiuto dell’operatore austriaco di confermare le nomine di trasporto”.
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