Pd, prima del nome cambi i dirigenti

Poi ci sono gli altri picconatori, quelli che gridano al Pd “devi morire” – i toni sono questi, e non solo sui social – perché a sostituirlo dovrebbero essere Matteo Renzi e Carlo Calenda, che a dieci giorni dal voto sottolineano ancora i sondaggi in crescita senza spiegare a cosa servono, quei mezzi punti in più, se si è rimasti sotto l’obiettivo iniziale del 10 per cento. E se le prime dichiarazioni da opposizione sono quelle di dirsi pronti a riforme istituzionali con una destra che ha come unica ricetta, da sempre, il presidenzialismo. Dimenticando che il parlamentarismo della Costituzione italiana arriva da una storia ben precisa: quella del ventennio, del fascismo, dell’uomo solo al comando capace di affascinare il popolo.

Come si contrastano queste insidie? Sciogliendosi? Preparandosi con calma a un Congresso che rischia di essere il solito falso passaggio di testimone, in attesa che chi lo prenda cada presto? Dove sono finite le promesse di spalancare le porte del partito a quel che c’è fuori e anche a quel che vive nel suo profondo? Nelle piccole amministrazioni, nella gestione di paesini e piccoli comuni, nelle associazioni giovanili che provano a trovare senso quando non replicano i tic dei fratelli maggiori? Non sarebbe solo una scorciatoia, sarebbe un errore e sarebbe una resa. Ma certo non possono essere i dirigenti che hanno portato al disastro a guidare questo processo: dovrebbe nascere una forza dal basso, cui però bisognava tenere aperto almeno uno spiraglio nella porta sul retro, invece di sbarrare tutto per tenere “la roba”. La parte più desolante, ma emblematica, resta la questione femminile dentro il principale partito progressista italiano: oggi alcune ex parlamentari rimaste fuori gridano allo scandalo della bassa rappresentanza, solo un terzo di elette nel Pd. Spiace dirlo, ma nessuna di loro è mai stata vista fare battaglie in questo senso. Sempre in attesa dello strapuntino concesso dal capocorrente di turno, delle briciole che cadevano dal tavolo, del favore fatto in nome della lealtà. Che sia una donna di destra a dover dimostrare che in politica il potere va conquistato, non ricevuto, è la peggiore delle lezioni. E per di più, rischia di non servire a nulla.

Ma torniamo a chi rappresentare, a come farlo. Ad esempio, quando si va in piazza con ragazze spaventate da una destra che nel mondo mette in discussione il potere delle donne sul loro stesso corpo, non serve dire: «Non capite». Non basta dire: il problema non è questo. È un errore dire, come ha fatto Laura Boldrini, «allora fatevi difendere i vostri diritti da Fratelli d’Italia». Per quanto l’analisi potesse essere sbagliata, lo sfogo pretestuoso, il rifiuto ingiusto. Bisogna piuttosto ascoltare. Comprendere. Condividere anche quelle paure. Poi tornare a pensare alle risposte. Non ai nomi, non ai posti, non ai leader. Alle risposte.

LA STAMPA

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.