Restituire il potere alle Camere
Montesquieu
Chi teme che tutto cambi con un governo molto di destra, chi spia le mosse della nuova maggioranza, sarà rassicurato dai primi movimenti al suo interno. Per ora siamo al metodo, ma fin qui nulla cambia. Il verosimile prossimo capo del governo, incontra (riceve) gli esponenti degli altri partiti della maggioranza. Si esclude che l’argomento sia la composizione dell’esecutivo, come invece sicuramente è, almeno per i visitatori. Non sembra, invece, che i confronti vertano sulle nomine (per la verità elezioni) dei presidenti delle Camere, quelle che consentono l’apertura del procedimento di formazione da parte del capo dello Stato. Se se ne parla, lo si farà come di un ripiego, un premio di consolazione, un contentino per chi non riesce ad acciuffare il dicastero ambito.
Ulteriore sintomo di una politica che, senza cambiare il nome al sistema istituzionale parlamentare, ha messo i governi a fare anche il lavoro delle Camere. A svolgerne le funzioni: non a caso i partiti hanno, di comune consenso, svuotato le prerogative che la Costituzione assegna alle Camere, fingendo di non toccarle. Poi, per non correre rischi, hanno per coerenza svuotato anche non solo le funzioni, ma le stesse attitudini dei parlamentari. Ad esempio, deputati e senatori, oramai nominati dagli oligarchi, non hanno alcuna relazione con i propri rappresentati, perfino quella di conoscenza reciproca. La nuova maggioranza stupirebbe tutti se non trascurasse la prima, grande occasione di mostrarsi diversa, e addirittura più costituzionale, dei figli naturali della nostra Carta.
La vera beffa, beffa positiva e lungimirante, sarebbe la restituzione del ruolo alle Camere da parte dei presidenzialisti in pectore: se pensassero, correttamente, che una buona separazione e la reciproca autonomia tra i poteri dello Stato hanno paradossalmente più ragion d’essere nell’agognato regime presidenziale che non in uno incentrato sul Parlamento. Perché sono i presidenzialismi a mettere a rischio le democrazie, basta guardarsi attorno, in giro per il mondo. Quanti presidenti governanti si sono trasformati gradualmente in dittatori, prendendosi tutti i poteri? Le democrazie parlamentari sono probabilmente meno incisive, ma hanno il grande pregio di custodire le funzioni vitali degli organi costituzionali, raffreddando lo scontro politico.
Non succederà. Ma scaramanticamente, proviamo ad accennare di cosa si tratta. Basterebbe, al momento, rimandare i conciliaboli ministeriali, e promuovere un incontro formale con le presunte opposizioni da parte della maggioranza. Almeno fino ad un voto di fiducia delle Camere, in parlamento non esistono maggioranza e opposizione: tutte le componenti hanno lo stesso titolo a confrontarsi sulle nuove presidenze, e prima ancora sul ruolo delle due Camere. Sarebbe straordinario che si convenisse, assieme, sulla opportunità di rileggere assieme, magari ad alta voce , gli articoli della Costituzione che trattano del Parlamento: difficilmente potrebbero non convenire sulla insopportabile distanza tra lettera di quelle norme(articoli 70 e seguenti) e pratica parlamentare. Il passo successivo potrebbe essere l’identikit di un presidente idoneo all’opera di ripristino di quelle norme. Perché se la governizzazione delle funzioni parlamentari è divenuta la regola, lo si deve anche alla approssimazione e superficialità prevalente nei criteri di scelta dei presidenti delle assemblee: tra i quali la risolutezza dello spirito e della funzione, entrambi terzi, non è quasi mai stato dominante. I presidenti di Assemblea non debbono essere genericamente terzi, ma mettere in conto un periodo di castità politica, senza appartenenze, relazioni gerarchiche, vincoli di fedeltà.
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