Il derby Panetta-Franco per Bankitalia dietro l’impasse sul ministero del Tesoro
Ilario Lombardo
ROMA. Fabio Panetta ha compiuto 63 anni il primo agosto scorso. Un giovanotto, per i livelli della gerontocrazia italiana. Se riuscisse a strappare il titolo di governatore della Banca d’Italia il prossimo anno, potrebbe arrivare a concludere il secondo e ultimo mandato in via Nazionale all’età di 76 anni. Gli anni che tra qualche mese compirà Mario Draghi. I ministri dell’Economia passano, i governatori di Bankitalia restano: minimo sei, massimo dodici anni.
Non è molto elegante parlare dell’età delle persone, è vero. Ma il dato biografico è un fattore che va tenuto sempre in considerazione sullo scacchiere del potere italiano. Tanto più in questa partita che incrocia il futuro di due uomini, e due poltrone prestigiose. Una sicuramente più confortevole, l’altra più precaria e più esposta alle turbolenze. Dalla scelta del prossimo ministro dell’Economia passa anche il destino della Banca d’Italia. Chi guiderà uno, non guiderà l’altra. E non si comprenderebbero le difficoltà che sta incontrando Giorgia Meloni nella scelta del futuro titolare del Tesoro se non si tenesse a mente un elemento determinante: la sfida tra Panetta e Daniele Franco, attuale inquilino del Mef, per Palazzo Koch. È il derby che si gioca sullo sfondo della tormentata composizione del futuro governo, e che getta luce sulle ragioni del no, sulle resistenze di entrambi a sedere nel posto più in alto del ministero dell’Economia. Fino al luglio scorso Panetta era il candidato naturale, sicuramente il favorito, a succedere a Ignazio Visco nel novembre del 2023. Ora in campo c’è anche Franco.
In Banca d’Italia raccontano che da sempre vige una regola non scritta, figlia della tradizione: la strada che porta da Via Nazionale a Via XX Settembre è a senso unico. C’è solo un precedente: Draghi. Che, però, al Tesoro era stato direttore generale, non ministro. Eppure, spiega una fonte autorevole che vive i meccanismi di entrambe le realtà, gli sponsor di Franco fanno leva su due argomenti. Ha vestito i panni da ministro in una situazione di assoluta eccezionalità, su richiesta di Draghi, in un governo non politico, di unità nazionale e di emergenza. E poi: il passaggio non sarebbe diretto, trascorrerebbe un anno, un periodo di decantazione sufficiente prima della nomina a governatore. Se Franco ha una speranza, però, è legata a cosa deciderà di fare Panetta: se quest’ultimo decidesse di non trasformarsi nel guardiano dei conti del governo Meloni, la candidatura dell’attuale ministro nascerebbe morta. E sappiamo da tutte le fonti del centrodestra, e non solo, che finora Panetta ha detto di no.
A ripercorrere i loro curricula si trovano similitudini di carriera e differenze. Entrambi sono stati allevati nella culla di Via Nazionale. Hanno ricoperto il ruolo di direttore generale uno dopo l’altro, prima Panetta, e subito dopo Franco. Panetta è poi andato a Francoforte, dove è diventato membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea. Qualche mese dopo, Franco ha lasciato la direzione generale perché chiamato da Draghi, il 13 febbraio 2021, al ministero dell’Economia. Franco è più vecchio di sei anni e ha poca voglia di restare al Tesoro. A maggior ragione in un governo schiettamente politico, nato su presupposti sovranisti. Chi gli ha parlato, in queste settimane in cui è emersa l’ipotesi di lasciarlo dov’è in caso di emergenza, racconta che Franco a domanda diretta non fa che scuotere la testa: «Spero non me lo chiedano davvero» dice. Ed è probabile che si riferisca più al Quirinale che a Meloni. Quello che sappiamo per certo, però, è che lo vuole la Lega, e il sottosegretario Federico Freni che ambirebbe a restare a lavorare con lui magari come vice, ruolo da condividere con Maurizio Leo di Fratelli d’Italia.
Lo schema, però, pare non convincere Meloni. La premier in pectore considera Franco un uomo in qualche modo cooptato dall’area di centrosinistra. Era stato il governo Letta a nominarlo Ragioniere dello Stato nel 2013. Per cultura e provenienza, Panetta è invece considerato più facile da inquadrare nella galassia di centrodestra. Almeno così la pensano gli uomini di Meloni e gli alleati. Inoltre, avrebbe il vantaggio di rassicurare l’Europa sulle future politiche di bilancio, in continuità con Draghi, ma non al punto di essere proprio lo stesso ministro di Draghi.
Pages: 1 2