Schiaffo di Draghi tra le proteste del centrodestra. “Pagheremo noi i ritardi sul Pnrr”

Massimiliano Scafi

E la chiamano transizione morbida. Giorgia Meloni, che sta ancora all’opposizione, già mette le mani avanti. «Ci sono ritardi evidenti». Forza Italia, che invece fa parte della maggioranza, attacca Palazzo Chigi. «Siamo stati esclusi dalla cabina di regia – si lamenta il capogruppo a Montecitorio Paolo Barelli – gli ex ministri azzurri Brunetta, Carfagna e Gelmini non rappresentano noi ma la futura minoranza, o forse solo se stessi». Una bufera, Mario Draghi però non si scompone. Anzi. Tutto fatto, dice, missione compiuta. «Gli obbiettivi del Pnrr sono stati raggiunti e non ci sono ritardi», altrimenti spiega «se ce ne fossero la Commissione Europea non ci verserebbe i soldi», 21 miliardi dopo i 48,9 erogati nei mesi scorsi. Ora spetta «al prossimo governo continuare il lavoro di attuazione del piano, che sono certo sarà svolto con la stessa efficacia». Insomma, sostiene il premier, «il Pnrr è di tutti, i partiti collaborino». Eppure succede che uno degli ultimi atti significativi dell’esecutivo uscente provochi un incidente politico non di poco conto con Fi e apra le prime crepe nel rapporto con la Meloni. Forza Italia, per quasi due anni alleato fedelissimo e super draghiamo, si trova improvvisamente fuori dalla cabina di regia. Barelli si infuria. «Riteniamo surreale non essere coinvolti. Ricordiamo infatti che le linee di applicazione del Pnrr riguarderanno anche, se non soprattutto, il governo politico di cui Fi farà parte».

Da Palazzo Chigi minimizzano, parlano di procedure. Ma dopo la crisi i tre ministri azzurri sono usciti dal partito, Carfagna e Gelmini sono addirittura passate ad Azione, così adesso Forza Italia non ha rappresentanti nella stanza dei bottoni. Quanto la Meloni: le davano della draghiana, si diceva che si era riparata sotto l’ombrello di Super Mario, che sperava che restasse il più a lungo possibile a risolvere i dossier più spinosi, a spianarle la strada con i mercati e l’Europa, invece è proprio sull’asse portante del governo uscente che decide di marcare le differenze. Non si sa mai. «Ereditiamo una situazione complicata, i ritardi sul piano sono evidenti e difficili da recuperare. Siamo consapevoli che sarà una mancanza che non dipenderà da noi e che però a noi verrà attribuita». Meglio dissociarsi subito, pensano a Fdi.

Per Draghi il problema non esiste. «C’è un modo semplicissimo e trasparente per valutare a che punto siamo, basta vedere gli obbiettivi raggiunti. Nel secondo trimestre la realizzazione procede più velocemente del previsto». Certo, ammette il presidente del Consiglio, la crisi, le elezioni e il prossimo cambio della guardia hanno complicato le cose, «hanno richiesto uno sforzo supplementare». Però siamo di nuovo in discesa. «Ad oggi sono stati già conseguiti 21 dei 55 obbiettivi previsti per la fine dell’anno e ci aspettiamo di raggiungerne altri 29 entro la fine del mese».

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